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Processo alla strega, con Ornella Muti
“Plautus Festival 2014”, presso l’Arena Plautina di Sarsina
Teatroper presenta
PROCESSO ALLA STREGA, di Silvano Spada
Ispirato a “Processo alla strega Matteuccia Di Francesco” di Domenico Mammoli
con Ornella Muti – Massimiliano Vado – Amerigo Fontani – Barbara Bovoli – Michele Savoia – Barbara Marzoli – Luigi Iacuzzio – Roberto Fazzioli – Flavio Abbondanza
Scene: Chiara Paramatti
Costumi: Teresa Acone
Musiche: Antonio Di Pofi
Trucco: Ludovica Costantini
Regia: Enrico Maria Lamanna
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Trama
L’impressione che suscita la scena è quella di un ritorno al passato – il 1426 -, quando questa esecuzione avvenne davvero, con il concorso delle autorità civili ma anche con l’acquiescenza di quelle religiose, che affidavano ai laici il compito di punire quanti secondo loro avessero dimostrato connivenze con il diavolo. Matteuccia, che cercava di alleviare le sofferenze fisiche e morali delle donne che ricorrevano a lei conoscendola sapiente, pagò con la morte per rogo quel suo autonomo agire. Come lei, tante altre in tutta la penisola cercavano di uscire dalla grettezza della loro esistenza vessata da padri e mariti violenti, scoprendo le virtù delle erbe, applicandosi all’ascolto degli animi esacerbati dalle crudeltà familiari, offrendo aiuto a donne che venivano trattate come bestie, prive del tutto di una qualche libertà.
Se si eccettua la pena del rogo per la ribellione di Matteuccia, e riconoscendo le debite differenze nei comportamenti, la situazione di molte donne di oggi può ancora richiamare i fatti narrati nel libro di Domenico Mammoli. Quella narrata, infatti, è un’epoca che porta su di sé superstizioni e false credenze, che proseguiranno ancora per quasi un secolo, nonostante il fiorire delle arti e delle scienze in parecchie corti italiane. Si pensi, ad esempio, al caso emblematico di Savonarola che, nella coltissima Firenze, fu bruciato dopo essere stato impiccato, nel 1498.
In quei secoli oscuri le donne furono, senza dubbio, le più penalizzate. Partendo da questo, Silvano Spada ha individuato con acuta sensibilità la chiave metaforica attraverso cui realizzare un moderno discorso teatrale, parlando di ieri per segnalare i pericoli ancora insiti nell’oggi.
La sua opera non consiste quindi in cronachistiche esposizioni di attuali violenze sulle donne, o denunce dal sapore di comizio, ma procede attraverso la scansione – sempre teatralissima – del processo, che si apre con l’accusa a Matteuccia e si conclude con l’esecuzione della condanna. In mezzo, le testimonianze di uomini e donne che ebbero a che fare con lei.
Il processo, nelle mani del regista Enrico Maria Lamanna, diventa spettacolo dai molti pregi. Nessun effetto speciale, ma la riproduzione fedele del clima di allora. Fiaccole, torce, legni, stoffe, suoni, tutto richiama quel tempo, anche se l’accortezza nel rappresentare l’antica verità si avvale di quanto può aggiungere espressivamente il presente. Asciuttezza nell’avvicendarsi dei momenti, dall’entrata di Matteuccia in scena al susseguirsi delle accuse, alle querule e intimorite testimonianze delle donne che da lei ricevettero consigli e aiuti, in contrasto con la veemenza volgare di coloro che accusano. I personaggi si riducono a esangui figure prive di volontà nel rendere giustizia: insieme al Cardinale troviamo i frati che lo attorniano silenziosi, sfondo di un’azione nella quale hanno certo avuto indirettamente parte – la predicazione di Bernardino da Siena deve aver influito in questo senso –, e che culmina nella cruenta conclusione del processo. Quelle presenze mute si muovono sulla scena accrescendone il pathos, che procede inesorabile verso la condanna.
Questi, il racconto e le suggestioni esemplari della rappresentazione condotta da Lamanna.
Ma ancora, va menzionato il fascino di un’opera che immette lo spettatore nel vivo del processo e lo fa partecipe di un giudizio in cui sentirsi coinvolto. Grande merito va agli attori immedesimati nei ruoli, prima fra tutti Ornella Muti, che alla bellezza aggiunge una recitazione precisa e dolente, insieme alla dignità che la fa rappresentante di tutte le donne soggette a ingiustizie. Di forte risalto scenico risultano inoltre l’accusatore e il testimone invasato, le due intimorite paesane, insieme ai muti esecutori della morte di Matteuccia. Essa ha luogo in una piazza gremita, attenta e silenziosa, la cui spoglia drammaticità è accresciuta da luci al naturale, unite a qualche astuto accorgimento del regista.
La durata dello spettacolo è di circa 70 minuti ed è con un unico atto.
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Anfitrione, con Debora Caprioglio ed Enrico Guarneri

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Compagnia MOLIÈRE – Roma presenta
DEBORA CAPRIOGLIO e ENRICO GUARNERI in
ANFITRIONE di Tito Maccio Plauto
Regia di WALTER MANFRÈ
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Trama
Approfittando dell’assenza di Anfitrione per la guerra contro i Teleboi, Giove prende le sue sembianze per passare una notte con sua moglie Alcmena; intanto Mercurio, per aiutare il padre, assume l’aspetto di Sosia, il servo di Anfitrione. Anfitrione e Sosia, tornati dalla guerra, giungono in città e Sosia per primo s’incammina verso la casa del padrone, sulla soglia trova Mercurio che lo prende a pugni e lo scaccia affermando di essere lui l’unico vero Sosia. Successivamente arriva anche Anfitrione, che non aveva creduto al racconto di Sosia. L’incontro con Alcmena anch’essa vittima inconsapevole dell’inganno, genera tra i due un diverbio che dura fino al ritorno di Giove, il quale, prima calma Alcmena, e poi in presenza di Blefarone (chiamato a chiarire le cose) viene alle mani col vero Anfitrione (già ingannato anche da Mercurio). Il povero generale è indeciso su cosa sia meglio fare, quando Bromia, un’ancella di Alcmena, gli racconta che la donna ha partorito miracolosamente due gemelli, uno dei quali tanto forte da uccidere due serpenti; infine appare Giove nel suo vero aspetto, confessa l’adulterio e spiega come si sono svolti i fatti dicendo che dei gemelli uno, Ercole, è suo figlio, l’altro, Ificle, di Anfitrione.
Anfitrione… o del “contrappunto comico”
Scritta e rappresentata probabilmente nel primo decennio del II sec., “Amphitruo” rimane un caso singolare nella pur vasta, e per molti aspetti controversa, produzione plautina. Il suo contenuto a carattere mitologico la distanzia, sensibilmente, dalle altre commedie a sfondo, diremmo oggi, “borghese”. E tuttavia, proprio questa distanza, questo intreccio e questo sfondo “anti-naturalistico”, sono gli attributi che rendono la commedia certamente la più fresca e attuale fra quelle pervenuteci del grande Comico latino. Anzi: la rendono a tutt’oggi incredibilmente divertente.
C’è, nella vicenda dello scambio fra il Dio e l’Umano, fra Giove e Anfitrione, il seme di una modernità efficacissima nel produrre comicità e divertimento.
C’è soprattutto nell’alternarsi fra “il basso” e “l’alto” della Vita e delle Passioni, il segreto più genuino nell’arte di far ridere: il contrappunto comico.
Una sorta di punteggiatura ironica e auto-ironica, che, affidata alla figura del servo Sosia, diventa un’autentica macchina del ridere; una partitura esilarante (ma a tratti tenera, ed a tratti persino sensuale) sulla quale il registro del “buffo” s’innesta, come una sorta di basso continuo.
“Anfitrione” è in breve il Grande Teatro; e non solo dell’Età Classica, ma di tutti i tempi. Questa nostra, nuova edizione, che nasce dalla fertile invenzione registica di Walter Manfrè, ne esalta sia l’efficacia farsesca, affidata al talento di Enrico Guarneri che interpreta Sosia, sia i toni più sinceri ed accorati nella Alcmena di Debora Caprioglio.
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La dodicesima notte, con Mariano Rigillo e Anna Teresa Rossini

La dodicesima notte, con Mariano Rigillo, foto 1

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Ass. Cult. Progetto Ateneo – Associazione TROUSSE – Ass. Cult. ArtEuropa presentano
MARIANO RIGILLO e ANNA TERESA ROSSINI in
LA DODICESIMA NOTTE di William shakespeare
e con SILVIA SIRAVO e RUBEN RIGILLO
Regia di ALBERTO GAGNARLI
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Trama
In un cartellone ricco di drammaturghi che hanno fatto la storia del Teatro, non poteva mancare William Shakespeare, l’autore più presente al Plautus dopo Tito Maccio Plauto. Martedì 13 agosto si “alzerà il sipario” dell’Arena Plautina su una delle opere più famose del Bardo: LA DODICESIMA NOTTE, per la regia di Alberto Gagnarli, con Mariano Rigillo e Maria Teresa Rossini. Lo spettacolo, il cui adattamento è curato da Luca Simonelli, è uno dei testi più noti di Shakespeare. Una storia di intrecci amorosi che inizia quando due gemelli, Viola e Sebastiano, naufragano mentre stavano navigando il mare d’Illiria. Entrambi si salvano, ma ciascuno crede che l’altro sia annegato. Da qui prende il via una commedia che è al contempo un dramma esistenziale ed una fiaba.
Note di regia
Sappiamo per certo dal diario del giovane studente in legge, John Manningham che la commedia venne rappresentata per la prima volta il 2 Febbraio (il giorno della Candelora) del 1602 nella sede del Middle Temple di Londra. Nelle pagine shakespiriane non vi è nessun riferimento alla notte dell’Epifania, il dodicesimo giorno dopo il Natale. Riferimento che probabilmente Shakespeare trasse dal prologo della commedia degli Accademici Intronati di Siena: Gli ingannati, rappresentata a Siena nel 1531 e modello rinascimentale che il “nostro” prese come falsa riga per la sua composizione. Abbiamo però anche un sottotitolo: Quel che volete, e sembrerebbe che Shakespeare si sia divertito a suggerirci: “dato che una commedia deve avere un titolo, fate voi!” Una pedana vuota che ricorda lo spazio dei teatri elisabettiani, dove gli attori, padroni assoluti, riempiono con maestria il palcoscenico, raccontando una storia divertente di travestimenti, amore e sesso.
Il sesso, appunto, più che l’amore; il sesso che confonde i sessi; il sesso che regala felicità senza infingimenti. Dal beffato Malvolio, dalle calze gialle e giarrettiere incrociate, oramai un cult del Teatro, a Viola, giovane, bella e determinata, a Olivia che s’innamora delle delicate fattezze di Viola-Cesario, ad Orsino che rifiutato da Olivia si “accontenta” di Viola, da Antonio “preso” da Sebastiano. Poi i personaggi popolari: Maria che organizza la grande beffa e il divertente Sir Tobia e per ultimo il buffone Feste, sagace, e maligna creatura. Una grande commedia che coinvolge lo spettatore e lo fa volare con la fantasia.
Mariano Rigillo
In precedenza ha calcato le scene del Plautus Festival nel 1990, in “Anfitrione” di Plauto”, nel 2001 in “I giganti della montagna” di Pirandello” e nel 2010 in “Il burbero benefico” di Goldoni.
Anna Teresa Rossini
ha calcato in precedenza le scene del Plautus Festival, sempre insieme al suo compagno di vita Mariano Rigillo, nel 2001 in “I giganti della montagna” di Pirandello” e nel 2010 in “Il burbero benefico” di Goldoni. In precedenza “La dodicesima notte” è andata in scena al Plautus Festival altre tre volte: nel 1989, con il compianto Mario Scaccia; nel 1996 con Paolo Ferrari e nel 2008 di nuovo con Mario Scaccia, in un indimenticabile Malvolio, e con Debora Caprioglio e Marco Messeri.
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L’Avaro, con Lello Arena

L’Avaro (di Moliere), con Lello Arena, foto 1

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L’Avaro (di Moliere), con Lello Arena, foto 33

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L’Associazione Culturale Bon Voyage Produzioni e il Teatro Stabile di Catania presentano
LELLO ARENA in
L’AVARO di Molière
con Fabrizio Vona e Francesco De Trio
Regia di CLAUDIO DI PALMA
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Trama
Anche se ampiamente ispiratosi alla commedia Plautina, “L’avaro” di Molière è caratterizzata da una struttura ben diversa: è più lunga e presenta tematiche diverse quali quelle dell’amore e del matrimonio.
“L’avaro”, insieme a “Tartufo”, a “Il malato immaginario”, a “Il borghese gentiluomo”, è una delle grandi commedie di Molière, una delle più note, delle più celebrate, delle più rappresentate ed anche una delle più imitate.
“L’avaro” è del 1668 e non riscosse subito un grande successo; questo arrivò più tardi, a poco a poco, fino ad essere considerata la migliore delle commedie di Molière. Ha delle caratteristiche che la rendono una commedia straordinariamente completa e divertente, perché in essa Molière vi ha messo dentro tutti gli ingredienti, i motivi, gli intrecci, le scene farsesche, che rendono esilarante una “pièce” comica.
La storia narra dell’avaro Arpagone e delle sue vicende che si dipanano portandoci in un mondo di intrighi e sotterfugi che nella sua intenzione hanno lo scopo di non mettere a repentaglio la propria ricchezza, anche a costo di mettersi contro i figli.
Matrimoni non graditi, alleanze, furti, progetti sfumati, equivoci sono il centro di un intreccio che ci conduce all’interno della storia nella quale non mancano dialoghi diventati celebri pezzi del Teatro comico di tutti i tempi.
Un classico diretto in un nuovo allestimento da Claudio Di Palma con Lello Arena che, reduce dal grande successo di “Capitan Fracassa” in scena da due stagioni, affronta, dopo “George Dandin” e “Tartufo”, per la terza volta un testo di Molière in un ruolo, Arpagone, che, come scrive Squarzina, «ha in sé nello stesso tempo il tragico e il comico».
Chiedere al servo del figlio di mostrare le altre due mani o imporre con trovata originale al cuoco/cocchiere di predisporre il castagnaccio fra i primi piatti di un pranzo, sono manifestazioni del carattere di Arpagnone, ostaggio di un impulso più forte di lui; scene tanto più esilaranti in quanto basterebbe ben poco a farle diventare oggettivamente dolorose.
Giovanni Macchia nel “Silenzio di Molière” parla di «una maschera in cui il dolore, dissimulato col riso, diventa smorfia atroce».
È questa dialettica, sempre in atto del coesistere nel cuore umano del “carnefice” e della “vittima” a imprimere alla commedia il marchio del grande teatro
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Lello Arena, in precedenza, ha calcato le scene del Plautus Festival nel 2009, in “La tempesta” di William Shakespeare, e nel 2012 il “Capitan Fracassa” di Théophile Gautier.
In precedenza “L’avaro” è andato in scena al Plautus Festival altre tre volte: nel 1981 e nel 2003 con Mario Scaccia, e nel 1989 con Mario Carotenuto.
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