Filippo Venturi Photography | Blog

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Nerone, di Massimo Boncompagni

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

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Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni, regia di Riccardo Bartoletti

PLAUTUS FESTIVAL, SARSINA, ARENA PLAUTINA, 10/08/2020
Nerone,
di Massimo Boncompagni

Ambienti sonori: Sara Castiglia
Scene realizzate in collaborazione con: Cooperativa sociale L’Albero e La Rua di San Sepolcro (AR)
Costumi: Gloria Fabbri
Realizzazione video: Samuele Poggi e Dardari Multimedia
Direttore di scena: Antonio Salerno
Organizzazione: Valentina Santi
Regia: Riccardo Bartoletti

NOTE DI REGIA
Come tutti i migliori personaggi della Classicità anche Nerone è un uomo del presente, con i suoi vizi, le sue virtù, le sue passioni e le sue dannazioni.
In questo allestimento ho immaginato Nerone abitare un vero e proprio “magazzino della memoria”, dove i ricordi della sua vita e delle sue gesta sono racchiusi in scatole e scatoloni che affollano il palco, a ricordarci quanto complessa sia poi in ogni epoca la mente dell’Uomo.
Nerone è un pazzo, o c’è un pazzo che si crede Nerone?
Nerone morirà suicida giovanissimo, a trentadue anni, senza aver potuto processare a fondo gli avvenimenti dei quali è stato protagonista indiscusso.
Ritrovatosi imprigionato in questo limbo che è la sua memoria, affollata dei ricordi di una vita breve ma intensissima, il nostro Nerone ripercorre in un eterno loop la vita e le emozioni che ha vissuto, alla spasmodica ricerca di una salvezza eterna che forse non arriverà mai.
Ma Nerone è soprattutto un uomo della contemporaneità: egocentrico, sfrontato, amante del popolo e per questo avversato dai nobili, sarà protagonista della prima “fake news” della Storia, quell’incendio di Roma sul quale oggi anche gli storici tendono a discolparlo.
Ad accompagnarlo in questo viaggio a ritroso nei meandri della sua vita ci saranno proiezioni oniriche e stralci di voci dal passato di uno dei migliori interpreti neroniani, tracce visive e sonore che guideranno Nerone nel labirinto contorto della sua mente in un vero “spettacolo nello spettacolo”, alla ricerca della salvezza da quella “damnatio memoriae” impostagli dalla Storia ben oltre ciò che l’uomo e l’imperatore fu.
Impreziosiscono lo spettacolo i contribuiti grafici sulla scenografia degli utenti della cooperativa sociale L’Albero e la Rua di Sansepolcro (Arezzo).
– Riccardo Bartoletti

Nerone, di Massimo Boncompagni

Nerone, di Massimo Boncompagni

 

Carmen Medea Cassandra

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“Plautus Festival 2014″, presso l’Arena Plautina di Sarsina

Daniele Cipriani Entertainment presenta
Rossella Brescia e Vanessa Gravina in
CARMEN MEDEA CASSANDRA
Il processo

drammaturgia di Paolo Fallai
con Gennaro Di Biase e Amilcar Moret
musiche di George Bizet e Marco Schiavoni
con inserti di Escala, Thom Hanreoch, Elvis Presley, The Cinematic Orchestra e Amon Tobin

Coro e corpo di ballo: Compagnia DCE DanzItalia
Scene: Vito Zito
Costumi: Laura Antonelli e Elena Cicorella
Regia e coreografia: Luciano Cannito

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Trama

Il Processo è uno spettacolo intenso fatto di recitazione e danza.
E ha come protagoniste un’attrice e una ballerina: Vanessa Gravina e Rossella Brescia,
che ci spiegano chi sono le tre donne che interpretano.

Una storia di donne colpevoli. Comunque.
Carmen, Medea e Cassandra sono tre protagoniste della letteratura di tutti i tempi. Sappiamo che sono tre donne colpevoli, dall’infedeltà all’inutile capacità di “vedere” il futuro col cuore, al più terribile dei delitti. Sappiamo che poesia e musica non hanno saputo resistere alla tentazione di raccontarle. Sappiamo che sono state raccontate da uomini, con occhi, logica e leggi maschili.
Questo spettacolo non è un omaggio a queste protagoniste: vuole solo raccontarle con occhi femminili, restituire loro la parola in un “processo” che non è mai stato celebrato, come se ascoltarle non fosse necessario.
Per questo la scena si apre su due detenute in attesa di giudizio, non sappiamo per quale reato. Vediamo un ambiente claustrofobico, in cui combattono la paura e la speranza. Osserviamo quello che nella loro storia non si è visto, vediamo movimenti nascosti e ascoltiamo parole che non sono state dette.
Carmen, Medea e Cassandra non appartengono ad una leggenda senza tempo che le inchioda a stanchi rituali: sono dei classici perché vivono la nostra contemporaneità, con altri volti e altri nomi. Ma spesso, con identico destino, quello del silenzio e della condanna.
Per questo troviamo Carmen a Lampedusa, tra uno sbarco di migranti, i mercanti di carne umana e l’incerta debolezza di una autorità che non sa come opporsi a questa invasione disarmata.
Osserviamo Medea nel momento più drammatico: quello in cui si affronta l’indicibile, purtroppo quasi ogni giorno sulle pagine di cronaca. Durante un interrogatorio un giudice cerca di far confessare a Medea non tanto il delitto orribile ma le sue motivazioni. E’ la sciocca richiesta di spiegare un tabù inspiegabile.  Che viene rimosso, compresso in un angolo del suo animo dove nascondere l’urlo, e insieme annunciato come inevitabile. Ma quante sono le vittime di Medea prima che arrivi al sacrificio dei figli? Esistono quindi morti nobili e morti che si possono dimenticare?
Anche Cassandra, osservata in una Sicilia degli anni Cinquanta, è vittima di due colpe convergenti: l’amore puro e la legge maschile del potere.
Viene condannata perché rappresenta la minaccia di chi è capace di “guardare con il cuore” e quindi “vede” quello che gli occhi – da soli – non riescono a guardare. Ma Cassandra, pur nella sua sconfitta, rappresenta la superiorità del sentimento sul calcolo, dell’emozione sulla convenienza, dell’istinto sulla strategia. La capacità di osservare tutti gli Ulisse del mondo, così tronfi del potere delle loro armi e così ciechi da non vedere l’agguato mortale che li attende proprio dietro l’ultimo trionfo. Così banali da farsi addormentare da un televisore, novello cavallo di Troia.

Rossella Brescia e Vanessa Gravina – due artiste dal temperamento passionale e deciso – affiancate dal ballerino Amilcar Moret e dall’attore Gennaro Di Biase, sono le protagoniste di questo spettacolo ideato da Luciano Cannito, che ne firma la regia e la coreografia.
In esso il movimento e il testo non sono sacrificati l’uno all’altro, ma si pongono sullo stesso piano, vicendevolmente l’uno al servizio dell’altro, così che non ci si accorgerà se si stia ascoltando la danza oppure vedendo la parola.

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Written by filippo

17 August 2014 at 12:30 pm

Il vero amico (parte 2)

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Prima parte delle fotografie QUI.

Prima parte delle fotografie QUI.

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“Plautus Festival 2014″, presso l’Arena Plautina di Sarsina

Teatro e Società presenta
IL VERO AMICO
di Carlo Goldoni

con Massimo De Francovich – Gianna Giachetti – Lorenzo Lavia – Francesco Bonomo
e Federica Rosellini – Massimo Di Michele – Valentina Bartolo – Daniel Dwerryhouse

Scene: Matteo Soltanto
Luci: Pietro Sperduti
Musiche: Paolo Daniele
Costumi: Alessandro Lai
Regia: Lorenzo Lavia

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Note di regia

Quando mi chiedono come mai ho deciso di portare in scena Il Vero Amico, la mia risposta è “perché fa ridere” e senza falsi giri di parole è stato questo il vero ed anche il primo motivo per la scelta del testo. Ma è anche vero che il riso è solo l’effetto di un pensiero molto più profondo e non si può fermare solamente a questo, specialmente quando si affronta un grande autore della nostra tradizione teatrale come Carlo Goldoni, che essendo un autore che scrive in lingua italiana non semplifica la messa in scena.
Quando mettiamo in scena un autore straniero, specialmente un classico, si ha la “fortuna” di poterlo tradurre e quindi di estrapolare il vero significato della parola, soprattutto se si tratta di un linguaggio antico. Gli inglesi invidiano gli attori degli altri paesi perchè possono tradurre Shakespeare e non essere costretti ad un verso ed un ritmo che spesso tolgono il vero significato della parola: l’ “essere o non essere” ne è un chiaro esempio, così come per noi vedere “Sei personaggi in cerca d’autore” a Londra improvvisamente ce lo rende molto più chiaro.
Io credo che nel teatro di oggi siamo costretti a tradurre, a trasportare, a tradire un testo. Ma come si può tradurre dall’italiano all’italiano, come si può tradire per tirar fuori il pensiero se anche io sono costretto dalla parola di Goldoni, come gli inglesi con quella di Shakespeare?
Carlo Goldoni verso la metà del Settecento cominciò a porsi il problema dello scarso successo delle sue opere all’estero, come diceva lui “talvolta compatite”, e attribuì la colpa al fatto che il suo fosse un teatro “più di dialogo, che di intreccio”. Ed ecco il vero Amico l’esatto opposto. Un intreccio molto divertente, ma all’interno di una storia fatta di equivoci mette un personaggio di nome Ottavio, anche lui padre, anche lui “avaro”, anche lui con il grande problema della cassetta che sarà fondamentale per lo svolgimento della storia. Ogni personaggio ha il suo doppio e, come sappiamo, ogni doppio è il perturbante del suo corrispettivo, ma esiste l’elemento del denaro, e quindi della cassetta, come il vero perturbante di tutti i personaggi e della storia. Così, come in un gioco di analogie, abbiamo: Ottavio, la cassetta, “l’Avaro”, Arpagone, un personaggio scritto quasi cent’anni prima.
In una diatriba dell’epoca Diderot fu accusato di plagio nei confronti Goldoni, ma Diderot, a sua volta, accusò di plagio Goldoni nei confronti di Moliere, per aver copiato il personaggio di Arpagone nel suo Il Vero Amico. Goldoni non accettò la parola “plagio”, dicendo che si trattava di storie diverse, però, con grande onestà intellettuale, in una lettera di risposta a Diderot ammise la citazione, il gesto d’affetto nei confronti dell’ “Avaro”. Ma questo “gesto d’affetto” è molto importante all’interno della commedia.
È proprio partendo da questo punto che ho risolto il mio “problema” di dover tradurre/tradire il testo: ho aggiunto in due punti dello spettacolo delle battute prese dall’Avaro che traducono e tradiscono il testo originale, ma ce ne aprono anche un mondo più nascosto, senza toccare le parole scritte da Goldoni e soprattutto il mio primo intento, che resta quello di far ridere il pubblico.
– Lorenzo Lavia

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Written by filippo

15 August 2014 at 10:49 pm

Il vero amico (parte 1)

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Seconda parte delle fotografie QUI.

Seconda parte delle fotografie QUI.

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“Plautus Festival 2014″, presso l’Arena Plautina di Sarsina

Teatro e Società presenta
IL VERO AMICO
di Carlo Goldoni

con Massimo De Francovich – Gianna Giachetti – Lorenzo Lavia – Francesco Bonomo
e Federica Rosellini – Massimo Di Michele – Valentina Bartolo – Daniel Dwerryhouse

Scene: Matteo Soltanto
Luci: Pietro Sperduti
Musiche: Paolo Daniele
Costumi: Alessandro Lai
Regia: Lorenzo Lavia

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Note di regia

Quando mi chiedono come mai ho deciso di portare in scena Il Vero Amico, la mia risposta è “perché fa ridere” e senza falsi giri di parole è stato questo il vero ed anche il primo motivo per la scelta del testo. Ma è anche vero che il riso è solo l’effetto di un pensiero molto più profondo e non si può fermare solamente a questo, specialmente quando si affronta un grande autore della nostra tradizione teatrale come Carlo Goldoni, che essendo un autore che scrive in lingua italiana non semplifica la messa in scena.
Quando mettiamo in scena un autore straniero, specialmente un classico, si ha la “fortuna” di poterlo tradurre e quindi di estrapolare il vero significato della parola, soprattutto se si tratta di un linguaggio antico. Gli inglesi invidiano gli attori degli altri paesi perchè possono tradurre Shakespeare e non essere costretti ad un verso ed un ritmo che spesso tolgono il vero significato della parola:  l’ “essere o non essere” ne è un chiaro esempio, così come per noi vedere “Sei personaggi in cerca d’autore” a Londra improvvisamente ce lo rende molto più chiaro.
Io credo che nel teatro di oggi siamo costretti a tradurre, a trasportare, a tradire un testo. Ma come si può tradurre dall’italiano all’italiano, come si può tradire per tirar fuori il pensiero se anche io sono costretto dalla parola di Goldoni, come gli inglesi con quella di Shakespeare?
Carlo Goldoni verso la metà del Settecento cominciò a porsi il problema dello scarso successo delle sue opere all’estero, come diceva lui “talvolta compatite”, e attribuì la colpa al fatto che il suo fosse un teatro “più di dialogo, che di intreccio”. Ed ecco il vero Amico l’esatto opposto. Un intreccio molto divertente, ma all’interno di una storia fatta di equivoci mette un personaggio di nome Ottavio, anche lui padre, anche lui “avaro”, anche lui con il grande problema della cassetta che sarà fondamentale per lo svolgimento della storia. Ogni personaggio ha il suo doppio e, come sappiamo, ogni doppio è il perturbante del suo corrispettivo, ma esiste l’elemento del denaro, e quindi della cassetta, come il vero perturbante di tutti i personaggi e della storia. Così, come in un gioco di analogie, abbiamo: Ottavio, la cassetta, “l’Avaro”, Arpagone, un personaggio scritto quasi cent’anni prima.
In una diatriba dell’epoca Diderot fu accusato di plagio nei confronti Goldoni, ma Diderot, a sua volta, accusò di plagio Goldoni nei confronti di Moliere, per aver copiato il personaggio di Arpagone nel suo Il Vero Amico. Goldoni non accettò la parola “plagio”, dicendo che si trattava di storie diverse, però, con grande onestà intellettuale, in una lettera di risposta a Diderot ammise la citazione, il gesto d’affetto nei confronti dell’ “Avaro”. Ma questo “gesto d’affetto” è molto importante all’interno della commedia.
È proprio partendo da questo punto che ho risolto il mio “problema” di dover tradurre/tradire il testo: ho aggiunto in due punti dello spettacolo delle battute prese dall’Avaro che traducono e tradiscono il testo originale, ma ce ne aprono anche un mondo più nascosto, senza toccare le parole scritte da Goldoni e soprattutto il mio primo intento, che resta quello di far ridere il pubblico.
– Lorenzo Lavia

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Written by filippo

15 August 2014 at 10:30 pm

La luna degli attori

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“Plautus Festival 2014″, presso l’Arena Plautina di Sarsina

Soc. Coop. Teatro Artigiano presenta
LA LUNA DEGLI ATTORI
di Ken Ludwig

con Paola Quattrini – Pietro Longhi
e con Miriam Mesturino

Scene: Mario Amodio
Costumi: Lucia Mariani
Regia: Silvio Giordani

Personaggi e interpreti:
Charlotte – Paola Quattrini
George – Pietro Longhi
Roz – Miriam Mesturino
Paul – Geremia Longobardo
Howard – Pierre Bresolin
Zia Molly – Lucia Ricalzone
Richard – Paolo Perinelli
Eileen – Ludovica Rei

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“Adesso stammi a sentire, ragazza mia. Il teatro sta morendo. Forse!
Diciamo che è un affascinante invalido
che si sta trascinando faticosamente attraverso il deserto,
con un solo polmone nel debole petto – ma ancora respira.
Ed è tutto ciò che abbiamo.
E’ il nostro unico aggancio con l’umanità.
Senza il teatro, saremmo tutti reazionari.”
Zia Molly

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“La luna degli attori” di Ken Ludwig è una commedia che è stata portata in scena con grande successo nel 1996 da Anna Proclemer, Giorgio Albertazzi e Alessandra Casella, ed oggi viene riproposta da Paola Quattrini, Pietro Longhi e Miriam Mesturino.

L’opera racconta le disavventure di una compagnia teatrale degli anni ’50: per gli attori George, Charlotte e Roz non e’ difficile stare in scena, ma uscire di scena.
Gli anni passano, gli incassi non sono più quelli di una volta e per questo prendono il via litigi, incomprensioni, identità scambiate, amori e amanti, infiniti equivoci che culminano nell’entrata in scena del capocomico ubriaco, che sbaglia completamente commedia lasciando di stucco i colleghi.
Questo testo ha il pregio di disegnare personaggi e umori autentici e di portare a termine un’analisi profonda del mondo dello spettacolo, dei suoi vizi e delle sue virtù, giocando con ritmo serrato in un clima di grande divertimento.
Con leggerezza costringe lo spettatore ad un impietoso sguardo sulle debolezze umane e sulla “crudeltà” di certi rapporti: la vita e le disavventure di questa compagnia teatrale diventano metafora dell’intera società contemporanea. Come dicevano i Latini: ridendo castigat mores.

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Written by filippo

13 August 2014 at 10:44 pm