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L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo
Plautus Festival, Sarsina, 09/08/2017

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 1

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 2

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 3

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 4

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 5

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L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 8

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 9

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L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 13

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 14

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 15

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L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 17

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L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 42

L’Avaro di Tito Maccio Plauto, con Edoardo Siravo, foto 43
Cooperativa Teatro Ghione – Roma presenta
Edoardo Siravo in L’Avaro
Da Tito Maccio Plauto
Traduzione e adattamento: di Michele Di Martino
Con: Stefania Masala, Martino D’Amico, Lucio Ciotola, Gabriella Casali, Enzo D’Arco, Francesco Maccarinelli
Musiche originali: Francesco Verdinelli
Costumi: Daniele Gelsi
Scene: Lisa De Benedittis
Direttore dell’allestimento: Peppe Sabatino
Regia di Nando Sessa
Personaggi e interpreti:
Cacastecchi: Edoardo Siravo
Grappaccia: Stefania Masala
Freccetta: Martino D’Amico
Miraglione: Lucio Ciotola
Baccagliona: Gabriella Casali
Pollastriere: Enzo D’Arco
Stellone: Francesco Maccarinelli
E’ la vivacità drammatica, unita all’essenzialità dello svolgimento, a caratterizzare l’Aulularia, vale a dire la commedia della pentola d’oro: dominante è la figura dell’avaro, interpretato da Edoardo Siravo, certamente uno dei personaggi più riusciti di Plauto e più imitati nei tratti caricaturali, preso a modello, tra gli altri, da Shakespeare e Moliere.
Con la sua maniacale ossessione l’avaro dà vita a tutta la vicenda, mentre la beffa ordita dal servo alla fine si ricompone e lo stesso protagonista, rinsavito dalla sua funesta “malattia”, congeda gli spettatori con un invito ad essere generosi e a non scherzare mai con l’avarizia.
La commedia, diretta da Nando Sessa, è sostenuta da ritmi incalzanti, con il gusto per il “botta e risposta”, per battute sapide e frizzanti che rendono più divertenti i sottintesi dei dialoghi.
Alla stimolante “sensualità” lessicale plautina, al gusto per i doppi sensi, i giochi di parole e gli equivoci, cerca di intonarsi la traduzione e l’adattamento di Michele Di Martino, con una significativa e singolare scelta di frasi e parole dell’originale latino, recitate dagli attori e scandite in metrica nelle parti cantate: sarà pure questo latine loqui, parlare in lingua latina, un modo per rivivere, ancora oggi, la grandezza del mondo classico, per risalire il fiume dei segni che ci arriva dalla civiltà di cui siamo eredi diretti.
Agamennone, con Paolo Graziosi e Daniela Poggi
Plautus Festival, Sarsina, 17/08/2016
Le foto del backstage sono visibili QUI.
AC ZERKALO – Roma e Compagnia LOMBARDI-TIEZZI – Firenze presentano
Paolo Graziosi e Daniela Poggi in AGAMENNONE
da Eschilo, di Fabrizio Sinisi
Con: Elisabetta Arosio e Valeria Perdonò
Scene: Elisabetta Salvatori
Costumi: Sara Bianchi
Regia: Alessandro Machia
Personaggi e interpreti:
Paolo Graziosi (Agamennone)
Daniela Poggi (Clitemnestra)
Elisabetta Arosio (Città)
Valeria Perdonò (Cassandra)
Trama
Agamennone, re e capo della spedizione achea contro Troia, sbarca ad Argo dopo dieci anni di guerra. Porta con sé Cassandra, giovane preda di guerra, amante e profetessa. Ad attenderlo Clitemnestra, piena di rancore e di vendetta per il sacrificio della figlia Ifigenia sull’altare della guerra. Ma lo aspetta anche Argo stessa: la città, la polis, nella persona del suo Coro. Agamennone e Cassandra moriranno nella congiura di Clitemnestra. Questa è la trama, celeberrima, dell’Agamennone di Eschilo, primo pannello del trittico di Orestea.
Ventiquattro ore. Tre donne e un solo uomo destinato a morire.
Ma chi sono queste figure? Chi e cosa sono adesso? Agamennone non è più l’uomo della guerra, ma l’uomo della stanchezza e del disincanto, l’uomo che tutto sa perché tutto ha visto e tutto ha provato. Cassandra è la giovane donna, è l’emblema della città di Troia ferita e distrutta e proprio dal fondo di questa rovina vede e sente ogni cosa: Cassandra vive nel profondo, alla radice delle cose. Poi c’è Clitemnestra, la protagonista. Clitemnestra è il grande conflitto della Donna: rovescia l’attesa di Penelope, da luogo dell’attesa diventa luogo della rabbia, mano del sacrificio; in Clitemnestra l’uomo d’oggi vede la terribile giustizia dell’umano, la febbre dell’esistenza che diventa violenza, il lutto che diventa ferocia. E infine il Coro, lo sfondo dell’esistente: la città, la politica; il Coro è la società e, dunque, la paura e lo scandalo. Tutto si svolge nell’arco di tempo che va dall’arrivo di Agamennone ad Argo fino al suo omicidio. In questo lasso di tempo, tutti i personaggi del dramma vengono a confronto in un agone sfrenato: Agamennone e Cassandra, nella loro complicità di padrone e di schiava, eppure entrambi vittime dell’orrore della guerra; Cassandra e Clitemnestra, la ragazza e la donna, la moglie e l’amante; Agamennone e Clitemnestra, l’Uomo e la Donna, il Marito e la Moglie, separati da dieci anni di assenza e dal sacrificio di una figlia. E infine la Città, l’istanza etica, perduta e dimenticata. Tutti gli elementi del dramma eschileo vengono qui messi a reazione, scatenati uno contro l’altro fino all’estremo, in una tensione di amore e rabbia, erotismo, malinconia e furore, fino all’esplosione dell’omicidio.
– Fabrizio Sinisi
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Agamennone, con Paolo Graziosi e Daniela Poggi (backstage)
Plautus Festival, Sarsina, 17/08/2016
Le foto dello spettacolo sono visibili QUI.
AC ZERKALO – Roma e Compagnia LOMBARDI-TIEZZI – Firenze presentano
Paolo Graziosi e Daniela Poggi in AGAMENNONE
da Eschilo, di Fabrizio Sinisi
Con: Elisabetta Arosio e Valeria Perdonò
Scene: Elisabetta Salvatori
Costumi: Sara Bianchi
Regia: Alessandro Machia
Personaggi e interpreti:
Paolo Graziosi (Agamennone)
Daniela Poggi (Clitemnestra)
Elisabetta Arosio (Città)
Valeria Perdonò (Cassandra)
Trama
Agamennone, re e capo della spedizione achea contro Troia, sbarca ad Argo dopo dieci anni di guerra. Porta con sé Cassandra, giovane preda di guerra, amante e profetessa. Ad attenderlo Clitemnestra, piena di rancore e di vendetta per il sacrificio della figlia Ifigenia sull’altare della guerra. Ma lo aspetta anche Argo stessa: la città, la polis, nella persona del suo Coro. Agamennone e Cassandra moriranno nella congiura di Clitemnestra. Questa è la trama, celeberrima, dell’Agamennone di Eschilo, primo pannello del trittico di Orestea.
Ventiquattro ore. Tre donne e un solo uomo destinato a morire.
Ma chi sono queste figure? Chi e cosa sono adesso? Agamennone non è più l’uomo della guerra, ma l’uomo della stanchezza e del disincanto, l’uomo che tutto sa perché tutto ha visto e tutto ha provato. Cassandra è la giovane donna, è l’emblema della città di Troia ferita e distrutta e proprio dal fondo di questa rovina vede e sente ogni cosa: Cassandra vive nel profondo, alla radice delle cose. Poi c’è Clitemnestra, la protagonista. Clitemnestra è il grande conflitto della Donna: rovescia l’attesa di Penelope, da luogo dell’attesa diventa luogo della rabbia, mano del sacrificio; in Clitemnestra l’uomo d’oggi vede la terribile giustizia dell’umano, la febbre dell’esistenza che diventa violenza, il lutto che diventa ferocia. E infine il Coro, lo sfondo dell’esistente: la città, la politica; il Coro è la società e, dunque, la paura e lo scandalo. Tutto si svolge nell’arco di tempo che va dall’arrivo di Agamennone ad Argo fino al suo omicidio. In questo lasso di tempo, tutti i personaggi del dramma vengono a confronto in un agone sfrenato: Agamennone e Cassandra, nella loro complicità di padrone e di schiava, eppure entrambi vittime dell’orrore della guerra; Cassandra e Clitemnestra, la ragazza e la donna, la moglie e l’amante; Agamennone e Clitemnestra, l’Uomo e la Donna, il Marito e la Moglie, separati da dieci anni di assenza e dal sacrificio di una figlia. E infine la Città, l’istanza etica, perduta e dimenticata. Tutti gli elementi del dramma eschileo vengono qui messi a reazione, scatenati uno contro l’altro fino all’estremo, in una tensione di amore e rabbia, erotismo, malinconia e furore, fino all’esplosione dell’omicidio.
– Fabrizio Sinisi
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L’Avaro, con Alessandro Benvenuti
Plautus Festival, Sarsina, 11/08/2016
Le foto del backstage sono visibili QUI.
Arca Azzurra Teatro
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Regione Toscana – Comune di San Casciano Val di Pesa presenta
Alessandro Benvenuti in
L’AVARO
di Molière
con Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, Paolo Ciotti, Gabriele Giaffreda, Desirée Noferini
Ricerca e realizzazione costumi: Giuliana Colzi
Luci: Marco Messeri
Musiche: Vanni Cassori
Aiuto regia: Chiara Grazzini
Macchinista: Nicola Monami
Elettricista: Francesco Peruzzi
Materiale elettrico: Watt Studio
Organizzazione: Costanza Gaeta, Tiziana Ringressi
Amministrazione: Valentina Strambi
Foto: Carlotta Benvenuti
Libero adattamento, ideazione spazio costumi: Ugo Chiti
Regia: Ugo Chiti
In collaborazione con il Festival Teatrale di Borgio Verezzi
Si ringrazia Arteatro Gruppo – Montepulciano
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Amaro e irresistibilmente comico, un’opera di bruciante modernità… L’avaro molieriano riesce a essere un classico immortale e nello stesso tempo a raccontarci il presente senza bisogno di trasposizioni o forzate interpretazioni.
Dopo il successo del nostro “Malato Immaginario” – votato dal pubblico dei teatri toscani, come miglior spettacolo della stagione 2014-15 – scegliamo ancora una volta Molière, ancora una volta nell’adattamento sempre rispettoso e spesso illuminante di Ugo Chiti, e aggiungiamo, nella parte del protagonista Arpagone, la grande cifra attoriale di Alessandro Benvenuti, al quale ci legano, oltre che una solida amicizia di lunga data, esperienze comuni di grandissimo spessore e successo quali il Nero Cardinale e una sempre più intensa attività di produzione dei suoi spettacoli.
Con questo lavoro Ugo Chiti riprende il ricco filone di riscritture di classici per Arca Azzurra che ha visto messe in scena di grande impatto e di straordinario successo a partire dai due testi tratti dal Decameron di Boccaccio, fino alla Clizia Machiavelliana, e ai testi su l’Amleto e la Genesi, lavori che costituiscono vere e proprie punte di diamante nella storia della compagnia.
Chiti innesta le vicende dei grandi classici nel linguaggio, forte, crudo, e a volte comicissimo che gli è proprio e che diventa tutt’uno con le sue regie, scavando al fondo delle psicologie dei personaggi anche grazie alla assoluta corrispondenza dell’uso che fa della parola teatrale con il procedere delle sue messe in scena, del suo lavoro con gli attori, da quelli che hanno con lui una storia ormai più che trentennale ai giovani che di volta in volta sceglie per i suoi personaggi e che sa inserire mirabilmente in questo contesto di forte conoscenza e solidarietà tutta teatrale tipica dell’Arca Azzurra.
E anche nel caso di questo Avaro molieriano, anche grazie all’apporto del “primattore” Benvenuti, pur seguendo con grandissimo rispetto la vicenda, i tempi e la lettera del grande classico, il testo della riscrittura si plasma e si radica nel corpo degli attori della compagnia che del lavoro con il loro dramaturg fanno ancora la principale e la più intensa delle loro esperienze.
NOTE DI REGIA
Premessa
“Libero adattamento da Molière” o forse sarebbe più corretto dire “rispettoso tradimento” oppure potrei azzardare in vena di barocchismi, una sottotitolazione più pretestuosa come “da Molière le premesse per una metateatrale rivisitazione attorno a L’avaro”…
Come sempre, al momento di buttare giù qualche nota di regia, si affollano indicazioni diverse, spesso contraddittorie che spiegano bene le conflittualità interne di una riscrittura che non vorrebbe mai stravolgere l’originale ma “attraversarlo” con una riappropriazione drammaturgica attenta ad attualizzare, per certi aspetti, i personaggi come a rivederne età e connotazioni secondo le logiche di un “autore di compagnia” che rispetta il suo ensemble di attori con cui lavora da più di trent’anni.
Adattamento
La storia critica de L’avaro, esemplificando in maniera sommaria, nei secoli si è divisa tra coloro che considerano la commedia un’opera comico farsesca con un buffone al centro della vicenda e quelli che vi leggono una componente seria che nel personaggio di Arpagone sfiora quasi il tragico.
L’adattamento guarda L’avaro occhieggiando a Balzac senza dimenticare la commedia dell’arte intrecciando ulteriormente le trame amorose in un’affettuosa allusione a Marivaux.
Contaminazioni a parte, Arpagone resta personaggio centrale assoluto, mantenendo quelle caratteristiche che da sempre hanno determinato la sua fortuna teatrale, si accentuano alcune implicazioni psicologiche, si allungano ombre paranoiche, emergono paure e considerazioni che sono anche rimandi al contemporaneo.
La “parola” è usata in maniera diretta, spogliata di ogni parvenza aggraziata, vista in funzione di una ritmica tesa ad evidenziare l’aggressività come la “ferocia” più sotterranea della vicenda.
Altra scelta della riscrittura è stata quella di ridisegnare alcuni passaggi del testo ritenuti da sempre “deboli o frettolosamente liquidatori”; vedi, per esempio, il piano per ingannare Arpagone, che solo annunciato da Frosina all’inizio del quarto atto nell’originale, diviene in questo caso un’occasione drammaturgica per accentuare il livore risentito e la spinta illusoria dei figli Elisa e Cleante. Con eguale libertà drammaturgica l’improvviso e precipitato scioglimento finale, accentua una valenza fiabesca suggerendola fino dalla prima scena (Valerio – Elisa) per poi utilizzarla come un “rilancio” finale di Arpagone che si riprende appieno la scena ribadendo così la peculiarità di personaggio senza antagonisti, consumandosi in un assolo delirante perfettamente speculare al prologo – monologo che dà l’avvio allo spettacolo.
Attori
Il gruppo “storico” dell’Arca Azzurra, assieme ad alcuni giovani attori, torna ad affiancare dopo “Nero cardinale” la presenza appassionata di Alessandro Benvenuti che veste i panni ambiguamente divertiti e feroci di Arpagone.
La scena
Un interno che potrebbe suggerire un magazzino polveroso dove si mimetizzano ricchezze, accumuli nascosti in vecchie casse nude, niente grazia, civetterie di arredi, sedute riconoscibili, comode. Un luogo dove si avverte l’ossessione del risparmio quasi come una sottrazione di vita.
Una scena cubica, volumetrica che potrebbe ospitare la tragedia greca come prestarsi alle labirintiche evoluzioni di una farsa chiassosa e colorata.
I costumi
Come sempre, nei miei adattamenti da un classico, i costumi rifuggono una scelta filologica, sono più usati come suggerimento di caratteri, allusioni cromatiche, indicazioni di “travestimenti” interiori dei personaggi. I costumi come la scena, nascono durante la scrittura, diventano una specie di sostegno drammaturgico che aiuta la definizione e la messa a fuoco di ogni parte del testo.
– Ugo Chiti