Cassandra

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Cassandra, Elisabetta Pozzi, Arena Plautina di Sarsina, foto 15

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Plautus Festival 2012, presso l’Arena Plautina di Sarsina
MDA Produzioni Danza – Mistras, in coproduzione con Teatri di Pietra e in collaborazione con Fonderia 900 presentano
Elisabetta Pozzi in
CASSANDRA
Opera per danza teatro e musica, da Eschilo, Euripide, Seneca, Jean Baudrillard e il contributo di Massimo Fini
Drammaturgia: Elisabetta Pozzi e Aurelio Gatti
con Hal Yamanouchi, Carlotta Bruni, Rosa Merlino
Coreografia: Aurelio Gatti
Musiche originali: Daniele D’Angelo
Costumi: Livia Fulvio
Luci: Stefano Stacchini
Realizzazione scene: Capannone Molière
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Un nuovo lavoro dedicato a Cassandra: una tra le più fragili eroine classiche.
Elisabetta Pozzi è la protagonista di una drammaturgia che esprime, attraverso il mito di Cassandra, la consapevolezza “solitaria” del percepire l’imminente, quasi un’empatia universale, in cui la tragedia non è quello che avviene, ma l’“importanza” a comunicarlo.
Una messa in scena che prosegue l’esperienza di “Sorelle di Sangue – Crisotemi” e che si caratterizza per l’uso di diversi codici espressivi – la musica, la danza e la parola – per restituire una lirica del tragico, scarna ed essenziale, la cui contemporaneità “passa” attraverso l’interprete che si fa significato del presente.
Lo spettacolo è costruito su una drammaturgia da me curata insieme ad Elisabetta Pozzi (che cura anche la parte coreografica), su una scrittura ispirata ad Eschilo, Euripide, ma anche Christa Wolf, Wislawa Szymborska, Pasolini, Baudrillard e con contributi originali di Massimo Fini.
Le musiche e gli ambienti sonori di Daniele D’Angelo.
Aurelio Gatti
La figura di Cassandra mi ha sempre affascinato e nello stesso tempo turbato. Profetessa non creduta… mi suggerisce la visione di un personaggio estremamente vivo che può arrivare ai giorni nostri per raccontarci qualcosa che ci riguarda molto da vicino.
La consapevolezza (ora come allora) degli errori commessi nel passato dai Padri, la porta ad essere talmente cosciente e lucida sul futuro, da avvertire l’inadeguatezza del vivere il presente all’ombra della distruzione.
Questa nuova Cassandra è una donna contemporanea che attraverso un viatico “straordinario” ripercorre la veggenza inevitabile della conoscenza attraverso il mito e, nel racconto di questi, si fa ella stessa Cassandra, ritrovando le sue parole che pian piano diventano parole di oggi, il racconto di un mondo in cui la proliferazione di una tecnologia spesso distruttiva annulla il futuro, elimina ogni visione e prospettiva.
Elisabetta Pozzi
L’incontro con Elisabetta Pozzi è stato del tutto casuale.
Nel 2009 l’avevo vista al teatro greco di Siracusa in una straordinaria interpretazione di Medea.
Ne avevo scritto, incidentalmente, in un articolo per il Fatto Quotidiano che trattava di tutt’altro.
Dopo qualche giorno squilla il telefono di casa mia a Milano: “Sono Elisabetta Pozzi. Ma sono proprio io quell’Elisabetta di cui lei parla sul Fatto?”. “Certo, signora” risposi. “Io la stimo moltissimo”. Mi colpì il suo understatement, che non è falsa modestia.
Del resto Betta, nella vita quotidiana, non “se la da”, non fa la diva, non si attacca alle tende alla Eleonora Duse, è una ragazza (mi viene da chiamarla così) normalissima anche se emotivamente molto intensa. Decidemmo di incontrarci, insieme al marito, il musicista Daniele D’Angelo. Se io ero affascinato dall’attrice, lei, che ha una curiosità onnivora, era stata presa dalle tesi antimodernistiche di alcuni miei libri dove sostengo che, dopo la Rivoluzione Industriale, per sfuggire ad un mondo fatto di fatiche durissime, ne abbiamo creato, col pericoloso ottimismo di Candide, un altro peggiore, esistenzialmente invivibile, stressante, angoscioso, depressivo e inoltre “profetizzo” che un sistema basato sulle crescite esponenziali, che esistono in matematica ma non in natura, è destinato fatalmente ad implodere su se stesso nel momento in cui non potrà più crescere.
Nacque quindi, in lei, l’idea di “Cassandra”, una profetessa del mito che si fa gradualmente nel corso della piece, una veggente di oggi.
Dopo le prove che abbiamo fatto alle “Fonderie ‘900 di Roma”, con un caldo infernale, sono andato a vedere lo spettacolo a Velleia, un sito archeologico romano sopra le colline di Piacenza. Poiché nella seconda parte la Pozzi utilizza molti brani dei miei testi, ripresi quasi letteralmente, salvo qualche variazione per esigenze di spettacolo, è stata per me un’emozione violentissima sentire le mie parole assumere, nell’espressività di una grande attrice, una potenza che, sulla fredda carta, non avevano.
E questa è la grande essenza del teatro.
Si dice che il teatro è in crisi. Ed è vero.
Non per nulla ci si occupa del “Teatro Valle” da mesi. Ma, benché io sia conosciuto come il cantore del pessimismo universale, in questo caso sono fiducioso. Per due ragioni.
La prima è che la gente si è stancata degli spettacoli serali, riproducibili all’infinito, come sono quelli della televisione e anche del cinema, dove il ruolo dello spettatore è puramente passivo. Non è uno slogan dire che il teatro è invece interattivo.
Il pubblico della seconda al “Puccini” di Firenze non è lo stesso della prima, quello dello “Storchi” di Modena è diverso da quello della pur vicinissima Bologna. E la performance degli attori dipende molto dall’incontro con la sensibilità dello spettatore. Insomma “l’evento” – per usare questa inflazionatissima e abusata parola – è sempre diverso.
La seconda ragione è che il teatro è, insieme alla musica, alla poesia ed alla pittura, la più antica forma di espressione e di comunicazione umana, e di tutte la più complessa. E, al limite, lo si può fare con elementi essenziali: un corpo e uno spazio. Passerà il cinema, passerà la Tv, passerà anche internet insieme alla tecnologia, ma il teatro lo si potrà fare sempre. Finchè esisterà l’uomo.
Massimo Fini
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foto meravigliose, noi l’abbiamo visto dal vivo..emozioni allo stato puro..complimenti
adriano&antonella
13 August 2012 at 10:27 am
Grazie Adriano e Antonella!
Si, è stato veramente uno spettacolo emozionante…
filippo
13 August 2012 at 10:28 am
Un grande spettacolo, magistralmente reso dalle foto di Filippo. Un’emozione unica di una serata che dopo due mesi è ancora viva nei miei ricordi.
Giampaolo
Giampaolo
5 October 2012 at 8:25 pm