Archive for the ‘Libri’ Category
3 donne
In occasione della “Festa della donna”, voglio dedicare un breve articolo a 3 donne che negli ultimi mesi mi hanno avvicinato e coinvolto in temi o arti, in precedenza trascurati.
- Alda Merini, di cui sto lentamente leggendo e apprezzando le poesie e la biografia.
- Magda Szabó, di cui ho iniziato il libro “Il vecchio pozzo”, un triste giorno trascorso in sala d’attesa al pronto soccorso e che ho deciso di reiniziare e assaporare pienamente appena avrò 2-3 giorni liberi. Merita una lettura concentrata.
- Wisława Szymborska, scoperta soltanto dopo la sua morte, grazie anche alle letture di Roberto Mercadini (“Sulla morte, senza esagerare“, “La cipolla“) e approfondita leggendo la raccolta di poesie “La gioia di scrivere” in ogni momento d’attesa.
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Salinger, lettera a Hemingway
Oggi la Stampa ha pubblicato in italiano una lettera di J.D. Salinger ad Ernest Hemingway del 1946 che era stata presentata al pubblico nel 2010 dalla Biblioteca Presidenziale John Fitzgerald Kennedy di Boston (nella traduzione c’è qualche errore di trascrizione soprattutto nei nomi: “Wurmberg” è Nürnberg, Norimberga, “Catherine Barkley” è Catherine Barclay, “Ollie Appletton” è Appleton). La biblioteca aveva a suo tempo diffuso la lettera originale dattiloscritta.
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08/02/2012 – La Riscoperta
Salinger, lettera a Hemingway “Sono un idiota (ma resti tra noi)” di Masolino D’Amico
Una lettera del ’46 al celebre collega: due anni prima si erano conosciuti nella Parigi appena liberata
Coppia improbabile nella Parigi del 1944 appena liberata dagli Alleati, quella del celebre scrittore Ernest Hemingway che offriva champagne al Ritz e si pavoneggiava come se la guerra l’avesse vinta lui, e lo schivo soldatino J. D. Salinger, scrittore anche lui ma semisconosciuto, e reduce da due durissimi anni di guerra combattuta davvero, durante i quali aveva partecipato allo sbarco in Normandia ed era stato tra i primi a subire lo shock di entrare in un campo di concentramento. Queste esperienze gli avrebbero procurato un forte esaurimento nervoso e il ricovero in un ospedale militare in Germania. Da qui il futuro autore del Giovane Holden (nome che aveva già usato in un racconto) scrisse nell’estate del 1946 la lettera ora riemersa a «Papa», il quale era stato generoso con lui, tra l’altro leggendo i suoi scritti ed essendogli prodigo di lodi, nonché certo incoraggiandolo a adottare nella corrispondenza con lui un tono amichevole se non addirittura confidenziale.
Anche Salinger ovviamente ammirava Hemingway e conosceva bene i suoi libri, vedi l’allusione a Catherine Barkley, che è l’infermiera di cui si innamora il protagonista di Addio alle armi. Tra gli altri punti della lettera che possono richiedere un’illustrazione: la madre iperprotettiva che accompagnò a scuola Salinger fino a ventiquattro anni (ma è un’ovvia esagerazione) non era ebrea di nascita come Salinger padre, però si era convertita alla religione ebraica e aveva abbracciato le tradizioni dell’etnia. Gli arresti a cui Salinger allude hanno a che fare con il suo impiego negli interrogatori durante il processo di denazificazione messo in atto dagli alleati nella Germania occupata, attività alla quale lo qualificava la sua ottima conoscenza del tedesco. Gary Cooper aveva interpretato Per chi suona la campana, discussa trasposizione del romanzo di Hemingway, il quale a differenza di altri scrittori aveva l’abitudine di disinteressarsi degli adattamenti dei suoi libri.
A Vienna Salinger era stato mandato dal padre nel quadro delle attività della sua ditta di importatore di carne; era ripartito subito prima dell’annessione dell’Austria da parte di Hitler. L’interesse di Salinger per il teatro può essere messo in rapporto anche con la sua infatuazione per Oona, la giovane figlia di Eugene O’Neill, che poi scandalosamente sposò Charlie Chaplin; Salinger le scrisse molte lunghissime lettere nel 1941. Journey’s End è la commedia dell’inglese R. C. Sheriff, probabilmente la più famosa di quelle ispirate dalla Grande Guerra. Il genuino e ben motivato giudizio su Scott Fitzgerald da parte di Salinger, e indubbiamente condiviso dal suo interlocutore, infine, mostra come due grandi scrittori americani sapessero apprezzare l’autore del Grande Gatsby, da poco scomparso, in un momento in cui le sue fortune presso la critica e il pubblico sembravano in declino.
La lettera di Salinger a Hemingway, ritrovata nella biblioteca John F. Kennedy di Boston, sarà pubblicata su http://www.satisfiction.me, il sito del bimestrale ideato da Gian Paolo Serino e specializzato negli inediti dei maggiori scrittori italiani e internazionali. Di Satisfiction è ora in libreria il numero 13, con inediti, tra gli altri, di Doctorow, Foucault e Vonnegut.
Caro Papa,
Ti scrivo da un ospedale di Wurmberg. Qui c’è una certa carenza di Catherine Barkley, devo dire. Mi aspetto di essere dimesso domani o dopodomani. Non avevo niente di grave, ma ero in uno stato di avvilimento quasi costante e mi sono detto che mi avrebbe fatto bene parlare con qualcuno di sano. Mi hanno chiesto della mia vita sessuale (che non potrebbe essere più normale – per fortuna) e della mia infanzia (normalissima: mia madre mi ha accompagnato a scuola fino ai ventiquattro anni – ma conosci le strade di New York), e alla fine mi hanno domandato se mi piaceva o no l’Esercito. Mi è sempre piaciuto l’Esercito.
Ho conosciuto Lester Hemingway prima che la Quarta Divisione tornasse negli States. È venuto nella nostra casa di Weissenburg e ha bevuto e chiacchierato con me. È un tipo a posto.
Rimangono pochissimi arresti da fare, nella nostra divisione. Adesso stiamo prendendo tutti i bambini sotto i dieci anni che hanno un’aria sprezzante. Bisogna concedere all’Esercito i suoi arresti vecchio stampo, bisogna gonfiare il Rapporto.
Il Capitano Ollie Appletton, il precedente CO del reparto, ha ottenuto il Congedo attraverso la Croce Rossa, tornando negli Stati Uniti sotto una pioggia di stelle di bronzo. Prima di andarsene, in nome dei vecchi tempi, ha passeggiato intorno alle foto dei suoi possedimenti in Scarsdale. Per molti di noi è stato un momento maledettamente toccante.
Come sta venendo il tuo romanzo? Spero che tu ci stia lavorando sodo. Non venderlo al cinema. Sei un tipo ricco. Come Presidente dei tuoi tanti fan club, so di parlare a nome di tutti quando dico Abbasso Gary Cooper. Perché stai davvero lavorando a un nuovo romanzo, no? Mi rendo conto che a Cuba le macchine non sono sicure.
Ho chiesto al CIC di mandarmi a Vienna, finora senza successo. Nel 1937 ci sono stato quasi per un anno intero, e ho voglia di mettere di nuovo un pattino da ghiaccio al piede di qualche bella ragazza viennese. Non mi sembra di chiedere troppo all’Esercito.
Ho scritto un altro paio di racconti incestuosi, diverse poesie e parte di una commedia. Se riuscirò a uscire dall’Esercito, potrei finire la commedia e chiedere a Margaret O’Brien di interpretarla con me. Con un taglio di capelli militaresco e una fossetta di Max Factor sull’ombelico, potrei recitare io stesso la parte di Holden Caulfield. Una volta ho fatto un’interpretazione molto sensibile di Raleigh, in Journey’s End. Molto sensibile.
Darei il mio braccio destro per andarmene dall’Esercito, ma non con un biglietto psichiatrico del tipo quest’uomo-non-è-adatto-alla-vita-militare. Ho in mente un romanzo molto sensibile, e non permetterò che l’autore passi per un idiota nel 1950. Io sono un idiota, ma non voglio che la gente sbagliata lo sappia.
Mi piacerebbe che mi mandassi due righe, se ci riesci. Lontano dalla scena, è molto più facile pensare chiaramente. Con il tuo lavoro, voglio dire.
La prossima volta che sarai a New York, spero di essere in giro e riuscire a vederti, se avrai tempo. I discorsi che abbiamo fatto qui sono stati gli unici momenti di speranza in tutta la faccenda.
Sinceramente,
Jerry Salinger
P.S. Se c’è qualcosa che possa fare per te, qualche messaggio da portare a qualcuno, ne sarei lieto.
Il progetto del mio libro di racconti è andato a pezzi. Il che è un gran bene, e non sto indorando la pillola. In questo momento sono ancora troppo legato da bugie e affetti, e vedere il mio nome stampato su una copertina polverosa rimanderebbe qualsiasi vero miglioramento di svariati anni.
Edmund Wilson ha pubblicato una specie di album di ritagli su F. Scott Fitzgerald (che cosa sporca), chiamandolo The Crack Up. Malcolm Cowley lo ha recensito per il New Yorker, o ha recensito Fitzgerald stesso in maniera dannatamente superiore rispetto ai critici medi che recensiscono uomini morti. È così facile scrivere una «buona» recensione di Fitzgerald. Le sue imperfezioni saltano agli occhi, e se un paio non lo fanno, è Fitzgerald stesso a puntarle col dito. È stupido da parte dei critici lamentarsi del fallimento di Fitzgerald di «sviluppare» le sue storie. Mi sembra ovvio che chiunque scriva un libro come Gatsby non potrebbe mai «sviluppare» un bel niente. La sua arte, o la sua bellezza, era applicabile soltanto alle sue debolezze, non ti sembra? Diversamente da molti critici, non penso che Gli ultimi fuochi sarebbe stato il suo libro migliore. Era lì lì per incasinare tutto. Lì lì per dare al libro un twist alla Gatsby. In effetti, è meglio che non l’abbia finito, credo.
Buone cose.
J.
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Fonti: lastampa.it e ilpost.it
La notte eterna del coniglio
Libro consigliamomi da Cristina: mia cugina, nonché fisica di successo, nonché amante dei romanzi post-apocalittici; anni fa mi aveva consigliato Io sono leggenda, capolavoro di Richard Matheson (che è e sarà nella mia top ten dei romanzi del genere), autore che ha ispirato George Romero per La notte dei morti viventi, da cui è stato tratto il bel film L’ultimo uomo della terra, con Vincent Price, e il mediocre film Io sono leggenda, con Will Smith. Esempio e ispiratore anche per Stephen King.
La trama de La notte eterna del coniglio è semplice e la copia\incollo, censurando spoiler superflui:
Un’inaspettata apocalisse distrugge la razza umana e trasforma la terra in un pianeta morto. Sopravvivono solo alcuni piccoli nuclei familiari, rinchiusi in minirifugi atomici nella città di San Francisco. I superstiti possono comunicare tra loro grazie a un trasmissione video satellitare. Improvvisamente gli occupanti di uno dei rifugi cominciano a sentire qualcuno bussare alla porta…
Il libro, secondo me, sarebbe potuto essere anche di 50 pagine in meno e probabilmente avrebbe funzionato meglio. L’inizio, così come la fine, è un po’ stiracchiato.
Spiegare lo scenario politico che porta all’apocalisse nucleare è verosimile, ma superfluo.
Il finale cerca di far luce su ogni aspetto, anche questo lo trovo superfluo, ma evidentemente l’autore voleva accontentare i lettori che non sono felici se non gli si spiega tutto.
Nel mezzo invece c’è suspance a volontà.
Se vi spiegassi la situazione, probabilmente ne ridereste, ma l’autore ha il pregio di renderla credibile e di trasmettere un profondo senso di vulnerabilità anche al lettore.
Insomma, Gardumi non è Matheson, il suo romanzo, pur con diversi difetti, è ottimo per passare un paio di giorni (soprattutto se si è murati in casa dalla neve) in un mondo post-apocalittico, claustrofobico e mangiando pagine su pagine per capire come e perchè succedono certe cose.
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Tutti i figli di Dio danzano

“Fino a quando non ho incontrato Raymond Carver, non c’era mai stata una persona che, come scrittore, potessi considerare il mio mentore. Raymond Carver è stato senza dubbio l’insegnante più prezioso che abbia mai avuto e anche il mio migliore amico letterario.”
– Haruki Murakami
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Il notiziario della radio:
“Numerose le perdite fra le truppe americane, ma anche fra i vietcong si contano 115 vittime”.
La donna “Che cosa tremenda l’anonimato”.
L’uomo “Come sarebbe?”
La donna “Dire che 115 guerriglieri sono morti non fa capire niente. Non si sa nulla delle singole persone. Avevano moglie, figli? Preferivano il teatro o il cinema? Non sappiamo niente. Sono solo 115 uomini morti in guerra, questo è tutto”.
– Jean-Luc Godard, Pierrot le fou
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In quel momento, guardando le fiamme del falò, tutt’a un tratto Junko percepì qualcosa. Era qualcosa di profondo. Qualcosa che forse si sarebbe potuta chiamare emozione condensata, perchè era troppo viva, aveva una consistenza troppo concreta per poterla chiamare idea. Attraversò lentamente l’interno del suo corpo e svanì da qualche parte, lasciando un’emozione indefinibile, simile a una struggente nostalgia. Per qualche istante, dopo che era svanita, ebbe una specie di pelle d’oca sulle braccia.
– Non le succede qualche volta, guardando la forma del fuoco, di provare una strana sensazione? – chiese a Miyake.
– Cioè?
– Sentire in modo stranamente preciso delle cose che nella vita di tutti i giorni di solito non percepiamo. Non so come dire… non sono brava a esprimermi, ma a stare così a guardare il fuoco, senza alcuna ragione provo una sensazione di pace.
Miyake ci pensò su.
– La forma del fuoco è libera. E siccome è libera, chi la guarda può vederci qualunque cosa. Se lei guardando il fuoco prova una sensazione di pace, è perchè la sensazione di pace che ha dentro ci si riflette. Capisce cosa intendo?
– Sì.
– Però, non si può dire che questo succeda guardando qualsiasi fuoco. Perchè accada, le fiamme devono essere libere. Questa cosa non può succedere guardando le fiamme del fornello a gas. Non succede con la fiamma dell’accendino. E nemmeno con tutti i falò. Perchè un fuoco sia libero, bisogna farlo in un posto dove ci sono le condizioni adatte. E questa non è una cosa che riesce facilmente a chiunque.
– Ma a lei riesce?
– A volte mi riesce, a volte no. Ma il più delle volte mi riesce. Se lo faccio col cuore, funziona.
– Fare i fuochi le piace, vero?
Miyake annuì.
– Haruki Murakami, Tutti i figli di Dio danzano
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L’indovinello di Lord Varys
Come già visto in una bellissima scena della prima stagione di Game of Thrones, dove fantasticano sull’essere Re, pare che Lord Varys e Lord Baelish, ragni tessitori di corte, avranno i dialoghi migliori anche nella seconda stagione.
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L’indovinello di Lord Varys
L’eunuco si fregò le mani incipriate. «Posso congedarmi da te con un piccolo indovinello, lord Tyrion?» Proseguì senza attendere una risposta: «Tre grandi uomini siedono in una stanza, un re, un prete e un ricco con il suo oro. Tra loro c’è un mercenario, un ometto di umili origini e senza troppo cervello. Ognuno dei tre grandi uomini ordina al mercenario di uccidere gli altri due.
“Uccidili” dice il re “perché io sono il tuo signore.”
“Uccidili” dice il prete “perché io te l’ordino nel nome degli Dei.”
“Uccidili” dice il ricco “e tutto quest’oro sarà tuo.”
Per cui, dimmi, mio lord: chi sarà a vivere e chi a morire?».
Con un profondo inchino, l’eunuco si ritirò dalla sala comune ondeggiando sulle sue morbide pantofole.
Una volta che se ne fu andato, Chella sbuffò e Shae arricciò il naso ben fatto. «Il ricco, vive, giusto?» azzardò.
«Forse. E forse no.» Tyrion sorseggiò pensosamente il vino. «Dipende dal mercenario, mi pare.» Posò la coppa. «Vieni, andiamo di sopra.»
[…]
«… hai avuto l’opportunità di pensare a quel piccolo indovinello che ti ho posto quel giorno alla locanda?»
«Mi è passato per la testa, una volta o due» ammise Tyrion. «Il re, il prete e il ricco… chi vive e chi muore? A chi di loro obbedirà il mercenario? E’ un indovinello che non ha risposta. O meglio, che di risposte ne ha troppe. Tutto dipende dall’uomo con la spada.»
«Eppure, quell’uomo non è nessuno» commentò Varys. «Non possiede corona, né oro, né il favore degli Dei. Possiede solo un pezzo di acciaio acuminato.»
«Ma quel pezzo d’acciaio ha il potere di vita e di morte.»
«Per l’appunto… Quindi, se sono i guerrieri, in realtà, a dominare il mondo, per quale motivo facciamo finta che siano i re a detenere il potere? Per quale motivo un uomo forte con una spada in pugno dovrebbe mai obbedire a un re bambino come Joffrey o a un grasso ubriacone come suo padre?»
«Perché quel re bambino e quel grasso ubriacone possono chiamare altri uomini, con altre spade.»
«E allora sono quegli altri uomini con le spade ad avere il potere. Ma lo hanno veramente? Da dove provengono le loro spade? Perché quegli uomini, alla fine, obbediscono?» Varys continuò a sorridere. «C’è chi dice che il sapere è potere. Altri dicono che il potere arriva dagli Dei, altri ancora che deriva dalla legge. Eppure, quel giorno, sulla scalinata del Grande Tempio di Baelor, il nostro sacrale sommo septon, la nostra investita regina reggente e il tuo onnisapiente servitore qui presente si sono rivelati tanto impotenti quanto il più miserabile dei ciabattini e dei vinai in quella folla. Chi pensi che abbia veramente ucciso Eddard Stark, quindi? Joffrey, che ha dato l’ordine? Ser Ilyn Payne, che ha calato la spada? Oppure… qualcun altro?»
«Facciamola finita, Varys.» Tyrion tornò a inclinare la testa di lato. «Hai intenzione di darmi una risposta al tuo maledetto enigma, o vuoi solo che il mio mal di testa peggiori?»
«Vuoi la risposta? Eccola.» Varys non smise di sorridere. «Il potere risiede dove un uomo crede che risieda. Nulla di più, nulla di meno.»
«Vuoi dire che il potere è un trucco da guitti?»
«Voglio dire che è nient’altro che un’ombra sul muro» sussurrò Varys. «Ma le ombre possono uccidere. E, certe volte, un uomo molto piccolo può proiettare un’ombra molto grossa.»
«Lord Varys» era Tyrion ora a sorridere «stai cominciando a piacermi in modo preoccupante. Potrei sempre decidere di ucciderti, certo, ma ne sarei comunque rattristato.»
«Considero il tuo dire come un’alta lode.»
«E tu, Varys, che cosa sei?» Tyrion si rese conto che la sua non era una domanda retorica. «Un ragno tessitore, dicono.»
«Spie e informatori riscuotono pochi e scarsi affetti, mio signore. Non sono altro che un fedele servitore del reame.»
«E un eunuco. Cerchiamo di non dimenticare questo dettaglio.»
«Raramente ci riesco.»
«Anch’io sono stato chiamato mezzo-uomo, eppure credo che con me, in fondo, gli Dei siano stati generosi. Sono piccolo, le mie gambe sono deformi, le donne non mi guardano con particolare voluttà… ma rimango pur sempre un uomo. Shae non è la prima a condividere con me un letto e, chissà, un giorno potrei addirittura avere una moglie e generare un figlio. Se gli Dei continueranno a essere generosi, avrà l’aspetto di suo zio e il cervello di suo padre. Ma tu, Varys, tu non hai questa speranza a sostenerti. I nani sono uno scherzo degli Dei, a fare gli eunuchi sono gli uomini. Chi è stato a mutilarti, Varys? Quando? E perché? Chi sei tu, in realtà?»
Non ci fu alcun mutamento nel sorriso dell’eunuco, ma nei suoi occhi apparve una luce priva di qualsiasi allegria. «Sei gentile a domandarlo, mio signore. Ma la mia storia è lunga e triste, e tu e io è di tradimenti che dobbiamo parlare.»
– George Raymond Richard Martin, Il regno dei lupi
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