Intervista per Mag’zine
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Su Mag’zine Issue #4, in uscita a breve, ci sarà anche una mia intervista, che riporto di seguito, e molto altro!
Mag’zine, a metà fra un magazine e una fanzine, si pone come obiettivo la ricerca di giovani fotografi per farne la loro conoscenza e condivisione delle esperienze per una crescita collettiva.
E’ disponibile a questo indirizzo: Collettivo Magma Foto
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Cosa rappresenta per te la fotografia?
La fotografia è uno splendido linguaggio in cui mi sono imbattuto fortuitamente nel 2007.
Nel 2008 scelsi di fare tutto il possibile, studiando, osservando e praticando, per comprendere meglio il mondo vasto e ignoto che si era aperto davanti a me e che fino a quel momento coglievo soltanto nel suo aspetto più banale e luccicante.
Grazie anche ai maestri con cui mi sono rapportato, ho cercato di perfezionare la mia conoscenza del linguaggio e di imparare a narrare con un mio stile i temi e le storie che mi interessano; la semplice conoscenza del linguaggio non è sufficiente.
Si può conoscere perfettamente l’italiano, ma non essere un bravo poeta o romanziere. Vedo molte assonanze fra lo scrivere e il realizzare un lavoro fotografico, fra il leggere e l’osservare.
Fra i vari linguaggi e le varie arti, è uno dei più semplici da praticare e, anche per questo, uno dei più complessi da maneggiare con sapienza. È anche uno dei più potenti, perché alcune fotografie sanno rimanere impresse nella nostra mente e condizionarci nella percezione del mondo e di ciò che vedremo successivamente.
Rimanendo nel paragone letterario, la stessa potenza si verifica meno frequentemente nella letteratura, a tal proposito mi viene in mente il bel racconto Amnesia in litteris, di Patrick Süskind, dove il protagonista si trova a leggere con entusiasmo un bel libro, fino al punto di sottolinearne delle parti, per poi accorgersi con disperazione che ci sono già delle sottolineature, le stesse che aveva fatto in un passato dimenticato, in cui si era già promesso di fissare nella mente quelle splendide parole.
Il tuo progetto Made in Korea ha ottenuto vari riconoscimenti, parlaci di come è nato questo progetto.
Nel 2014 ho realizzato a Forlì, dove vivo, il progetto L’Ira Funesta. Terminato questo lavoro ho sentito il bisogno di allontanarmi da casa per avvicinarmi a una cultura e società completamente diversa dalla mia. Era un modo per mettermi nuovamente alla prova e cercare di realizzare un lavoro più maturo rispetto ai precedenti e, al tempo stesso, arricchirmi personalmente.
La scelta della Corea del Sud risale circa a 1 anno prima della partenza effettiva. L’Estremo Oriente mi ha sempre affascinato e incuriosito per le sue peculiarità a volte così distanti dal mondo occidentale. Questo paese in particolare, poi, estremizza alcuni fenomeni e problematiche comuni a paesi come Giappone, Cina e altri.
Il lavoro si è concluso a giugno 2015. Da allora mi sta dando parecchie soddisfazioni, sta ricevendo consensi e riconoscimenti, tra cui il primo premio al Portfolio dello Strega di Sassoferrato che fa parte del Portfolio Italia e il premio Crediamo ai tuoi occhi del Centro Italiano Fotografia d’Autore.
C’è una foto del progetto Nero Orgoglio che ci ha colpito e arriva come un pugno allo stomaco, ed è quella della madre con i suoi figli, di cui uno fa il saluto fascista. Hai intuito fin da subito che era la foto simbolo di quell’evento?
Era la prima volta che andavo a un raduno di nostalgici fascisti, per la precisione si teneva a Predappio, per la commemorazione dei 70 anni dalla morte di Benito Mussolini.
Fin da subito mi ero focalizzato sui ritratti ai partecipanti. Dopo un po’ mi sono accorto che c’erano anche diverse famiglie con bambini appresso (i nostalgici di domani), per l’occasione vestiti di nero e con addosso simboli fascisti, a cui veniva chiesto di esibirsi in saluti e gesti tipici. A quel punto la mia attenzione è andata unicamente a quell’aspetto, ho realizzato diverse fotografie, fino a quella in questione.
Ancora prima di scattarla ho intuito che sarebbe potuta essere quella che avrebbe colpito e fatto riflettere di più l’osservatore. Trovo interessante quella fotografia per vari motivi ma il più forte è nei 3 sguardi, che svelano ognuno la realtà dietro la recita.
Un tuo progetto a cui sei più legato e perché?
Sono molto legato a In Oblivion, fatto a New York nel 2012. È il mio primo progetto e rappresenta il momento in cui penso di aver superato un grosso esame personale su ciò che sarei potuto essere in fotografia e non solo.
In quei giorni ho raggiunto un grado di risolutezza che non pensavo di avere e che poi ho replicato negli altri progetti, fotografici e non. Convivevo mentalmente con alcuni seri problemi familiari, con la diffidenza che percepivo in alcune persone, per le quali la fotografia era solo un gioco, mentre per altre era un lavoro troppo grande per me.
È una delle esperienze più utili che mi sia capitata, per conoscermi e per migliorarmi.
Progetti per il futuro
Ne ho diversi in mente, sia in campo fotografico che video, ma quello che oggi mi ossessiona di più riguarda la Corea del Nord, che andrebbe a ultimare il mio lavoro “Made in Korea”.
L’asticella è più alta, le condizioni per lavorare sono difficili se non proibitive, già solo entrare nel paese non è semplice… ma nonostante questo spero di riuscire a realizzarlo.
Come vedi la fotografia oggi e il suo futuro
La fotografia è morta!
Direbbe qualcuno. E non sarebbe la prima volta.
Io invece sono convinto che sia viva e vegeta e in continua evoluzione.
Il digitale non ha ancora terminato la propria rivoluzione, nemmeno possiamo immaginare dove ci porterà. Il digitale assottiglierà sempre di più la differenza fra illustratori, game designer, fotografi, videomaker e così via.
A quel punto, sarà sempre più importante per il fotogiornalismo essere fedele a certi principi per mantenersi legato alla realtà, mentre molta fotografia assomiglierà alla fiction (filtri, automatismi, rendering, ecc. saranno sempre più a portata di mano e invasivi).
Già ora la fotografia di massa, con gli smartphone, si sta allontanando dalla realtà.
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