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E’ morto Richard Matheson

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E' morto Richard Matheson

“My beloved father passed away yesterday at home surrounded by the people and things he loved. He was funny, brilliant, loving, generous, kind, creative, and the most wonderful father ever. I miss you and love you forever Pop and I know you are now happy and healthy in a beautiful place full of love and joy you always knew was there.”
– Ali Matheson

“Il mio amato padre è morto ieri, in casa, circondato dalle persone e dagli oggetti che amava. Era brillante, intelligente, amorevole, generoso, gentile, creativo e il miglior padre che si possa desiderare. Mi manchi e ti amerò sempre papà, e so che ora sarai felice nel bellissimo posto pieno d’amore e di gioia che tu sapevi esistere.”
– Ali Matheson

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Non dimenticherò mai il suo romanzo “Io sono Leggenda”.
Niente a che vedere con la porcheria di film che ne hanno tratto.

Non dimenticherò mai i suoi racconti.
Proprio ieri – quando ancora non sapevo – parlavo del suo “L’esame”, che per quanto semplice e breve, mi è rimasto ben impresso nella mente e difficilmente potrò rimuoverlo, per la sensibilità di cui è pregno.

E poi c’è “L’ultimo giorno”, “Duel”, “La casa impazzita”, tutti quelli della raccolta “Shock”, ecc.Insomma una vasta produzione di buona e ottima letteratura.

Lo avevo scoperto grazie a Stephen King, che lo ricordava come uno dei suoi “maestri”.

“Tempo, fammi un ultimo favore. Fermati su questo momento sublime, in maniera che io possa viverlo per sempre.”

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Richard Burton Matheson (Allendale, 20 febbraio 1926 – 23 giugno 2013) è stato uno scrittore e sceneggiatore statunitense.

Lo scrittore Richard Matheson (nato ad Allendale, New Jersey, nel 1926) è «una leggenda vivente» della letteratura e del cinema fantastico. Ha sceneggiato la maggior parte dei film di Roger Corman tratti dai racconti di Edgar Allan Poe.

È stato il «cattivo e buon maestro» che ha innescato molte delle ossessioni di Stephen King e George A. Romero ed è anche stato uno fra gli autori più prolifici della serie televisiva Ai confini della realtà, nonché l’artefice del lancio planetario di Steven Spielberg nell’universo del cinema, avendo scritto per lui Duel, il film cult del ’71.

Matheson ha realizzato romanzi seminali come Io sono leggenda, Io sono Helen Driscoll e Tre millimetri al giorno, dei quali si è impadronita con successo anche Hollywood. Ma è soprattutto l’universo dei racconti fantastici quello in cui ha scatenato la sua incredibile fantasia. Ce lo dimostra l’edizione di tutte le sue storie in quattro volumi realizzata da Fanucci Editore. In Tutti i racconti vengono riproposte filologicamente le storie di Matheson divise in quattro periodi: 1950-1953, 1954-1959, 1960-1993, 1999-2010. Si tratta di 132 racconti di cui ben 51 non erano mai usciti prima d’ora in Italia.

La serie si apre con una vicenda terribile di reclusione casalinga: Nato d’uomo e di donna, del 1950, scritta dal punto di vista di un essere mostruoso rinchiuso in casa da genitori apparentemente normali. Come mi raccontò Matheson in una lunga intervista radiofonica che realizzai per Radio2, «l’idea era di raccontare cosa potesse succedere a una famiglia normale che avesse messo al mondo una specie di mostro. Avevo ventitrè anni e fortunatamente non mi preoccupai di rivedere l’idea che questi genitori potessero portare a casa il neonato e relegarlo nello scantinato. Mi rendo conto che si tratta di un’idea assurda. Dopo essermi sposato e aver avuto dei figli, ci ho riflettuto sopra: probabilmente i medici non avrebbero mai consentito a una creatura del genere di sopravvivere e se anche lo avessero fatto lo avrebbero confinato in un istituto. Sicuramente non avrebbero permesso ai suoi genitori di riportarlo a casa per poi rinchiuderlo in uno scantinato».

Non meno curiosa la genesi di un altro racconto come Duel che narra del confronto fra un povero automobilista e un camionista infernale che sempre Matheson rievoca volentieri così: «Io e il mio amico Jerry Sohl stavamo pranzando sull’erba durante la pausa di una partita di golf quando, ascoltando il notiziario alla radio, apprendemmo che il presidente Kennedy era stato assassinato. Sconvolti, salimmo in macchina e iniziammo a percorre una strada tortuosa che passava per un canyon. All’improvviso un enorme camion iniziò a tallonarci, facendosi sempre più minaccioso. Jerry dovette accelerare e andare sempre più veloce. Insomma, per farla breve finimmo fuori strada e facemmo testa-coda, in una nuvola di polvere, e il camion ci sfrecciò accanto come se niente fosse. Naturalmente rimanemmo sotto shock per un po’. Poi, una volta passato lo spavento iniziale, lo scrittore che è in me prese il sopravvento e cominciò ad annotarsi alcune delle sensazioni provate e che avrebbero rappresentato l’idea di base della storia, anche se la scrissi soltanto dieci anni dopo e divenne un film di Spielberg…».

Trasformare la normalità quotidiana in incubi, far scontrare la dimensione reale con quella fantastica è una costante della narrativa di Matheson. Persino un’occupazione innocente come guardare la televisione in famiglia può essere estremamente pericolosa, come leggiamo in Dai canali. Da un momento all’altro si rischia di essere risucchiati dal televisore per ragioni ignote ma tanto inquietanti da poter fare da modello a pellicole come Poltergeist di Tobe Hooper (1982) e Videodrome di David Cronenberg (1983).

È difficile inquadrare in un genere letterario ben preciso i racconti di Matheson. E lo è per una scelta dell’autore, il quale in oltre sessant’anni di onorata carriera ha mescolato abilmente l’horror, il noir, la fantascienza, la fantasy, la cronaca nera e persino le love story. Frullandoli e reinventandoli secondo nuovi schemi, Matheson riesce sempre a renderci credibile l’incredibile senza usare schemi preordinati.

«È talmente facile saltare da un genere all’altro – sostiene lo scrittore americano – che si può ambientare una storia d’amore su Marte come se si trattasse di un romanzo di fantascienza, e si può, viceversa, ambientare quella stessa storia d’amore nel buon vecchio West ed ecco che si è scritto un racconto di Frontiera. Oppure si può dislocarla in Transilvania ed ecco che si è scritto un horror! L’idea stessa di costringere uno scrittore entro confini predefiniti mi è del tutto estranea».

(Luca Crovi)

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Written by filippo

24 June 2013 at 11:02 pm

E’ morto Neil Armstrong

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Neil Armstrong

Neil Armstrong

E’ morto Neil Armstrong, il primo uomo a camminare sulla luna senza doping.

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Scomparso a 82 anni l’astronauta più riservato e malinconico di Apollo 11

Faceva caldo come in questi giorni, il 20 luglio del 1969, quando un modulo spaziale con a bordo gli astronauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin atterrò sulla Luna. La televisione italiana trasmetteva in bianco e nero immagini confuse, complicate dai litigi tra il giornalista Tito Stagno e l’inviato della Rai a Cape Kennedy, Ruggero Orlando, sul minuto esatto dell’allunaggio. Sette ore dopo, il portellone del Lem si aprì, Armstrong discese la scaletta e toccò con il piede sinistro il suolo lunare, inviando alla Terra la frase più famosa che un essere umano abbia mai pronunciato: «È un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l’umanità».

Ora che Neil Armstrong è morto a 82 anni, per le complicazioni seguite a un intervento al cuore, molte delle cose che avremmo voluto sapere su quello straordinario viaggio e su quella altrettanto straordinaria frase, se ne sono andate con lui. Di tutti gli astronauti del programma Apollo, che inviò sei equipaggi sulla Luna dal 1969 al 1975, Armstrong è stato il più sfuggente, il più riservato e il più misterioso. L’uomo che ieri Obama ha definito «uno dei più grandi eroi americani» (più poetico Romney: «La Luna lo piange»), avrebbe potuto arricchirsi tenendo conferenze, concedendo interviste, accettando i posti che gli venivano offerti nel board delle più importanti multinazionali del pianeta, e invece scelse di percorrere il resto della sua vita con il più basso dei profili: qualche consulenza per la Nasa, un incarico all’università di Cincinnati come insegnante di Ingegneria Aerospaziale, altri incarichi assunti senza entusiasmo in agenzie di ricerca e tecnologia, e presto lasciati.

Dopo la Luna, Armstrong non volle più partecipare ad altre missioni spaziali, si ritirò in un cono d’ombra e lasciò ai suoi compagni i riflettori della celebrità. Michael Collins, che si era limitato a condurre il modulo orbitante che ruotava intorno alla Luna, prese la sua quota di notorietà. Ma la parte del leone la fece e la fa ancora Buzz Aldrin, il secondo uomo a scendere sulla Luna e il primo a parlarne senza freni. Le foto più belle scattate nella missione dell’Apollo 11 non ritraggono Amstrong, ma Aldrin, e l’immagine più straordinaria di tutte, quella in cui nel visore del casco di Buzz si vede il riflesso di Neil che lo fotografa, è diventata una icona dell’esplorazione spaziale. È stato Aldrin – che ieri, su Twitter, ha reso omaggio «all’amico Neil, il miglior pilota che abbia mai conosciuto» – a concedere una intervista dietro l’altra sulla missione lunare, arrivando a raccontare che un «oggetto volante non identificato» li aveva seguiti nella fase di avvicinamento alla Luna, e che non ne parlarono con la base di Houston perché temevano che la missione venisse annullata. Molti astronauti americani, rientrarti sulla Terra dopo avere compiuto il più straordinario viaggio che un uomo possa immaginare, non sono riusciti a reinserirsi nella società che avevano abbandonato per pochi giorni terrestri, diventati una eternità nel viaggio verso la Luna: alcuni si sono dati all’alcolismo, altri hanno passato il resto della loro vita fissando una parete, altri sono stati ricoverati in ospedali psichiatrici.

Può darsi che ad Armstrong sia capitato qualcosa del genere: dopo avere toccato il suolo lunare ed essere tornato indietro, non c’erano molte più cose che avessero un senso o un valore, sulla Terra. Non c’era niente di più importante che si potesse fare o sperare di raggiungere e non si poteva nemmeno parlare di quello che era stato, perché nessuno avrebbe davvero capito.

I suoi silenzi, il suo volto con la barba incolta di otto giorni che si affaccia dall’oblò della navicella appena recuperata nel Pacifico, a guardare dall’altra parte del cristallo il presidente Richard Nixon senza un sorriso, ne fanno un eroe triste e malinconico, l’uomo che avrebbe potuto avere qualunque cosa sulla Terra e che rinunciò a ogni cosa perché aveva già avuto tutto in un luogo molto più lontano.

Nel 1961, due anni prima di essere assassinato a Dallas, il presidente americano John Kennedy pronunciò un discorso al Congresso: «Credo che questo paese debba impegnarsi a realizzare l’obiettivo, prima che finisca questo decennio, di far atterrare un uomo sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra. Non c’è mai stato nessun progetto spaziale più impressionante per l’umanità; e nessuno è stato così difficile e costoso da realizzare… ».

In Florida, al museo della Nasa che si trova a poche centinaia di metri dalle rampe di lancio di Cape Canaveral, sono conservati i razzi Saturn e i moduli lunari del programma Apollo. Il contenuto di tecnologia che li guidava è inferiore a quello che gestisce lo smartphone che teniamo in tasca e ci sembra impossibile che quell’ammasso di tubi e ferraglia abbia potuto portare qualcuno sulla Luna. Andarci è stato difficile e costoso. Ma senza il coraggio degli uomini non sarebbe mai stato possibile.

Fonte

Written by filippo

26 August 2012 at 7:10 am

Posted in Attualità

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