Archive for the ‘Libri’ Category
Niccolò Ammaniti, Il momento è delicato

Biblioteca Comandini, Cesena
“C’era una parte poco frequentata delle edicole della stazione, quasi abbandonata, quella dei tascabili. Tra i libri accatastati, nascosti dietro un vetro, avvolti nella plastica e ricoperti di polvere cercavo le raccolte di racconti. Era un momento tutto mio, un piacere solitario e veloce perché il treno stava partendo. Studiavo un po’ i disegni della copertina, pagavo e infilavo il libro in tasca. Appena mi sedevo al mio posto, gli strappavo la plastica che non lo faceva respirare. Aprivo una pagina a caso, trovavo l’inizio del racconto e attaccavo a leggere. Altre volte, invece, guardavo l’indice e sceglievo il titolo che mi ispirava di più. E mentre il treno mi portava via finivo su pianeti in cui c’è sempre la notte, su scale mobili che non finiscono mai e tra mogli che uccidono i mariti a colpi di cosciotti di agnello congelati. Quella era vera goduria. E spero che la stessa goduria la possa provare anche tu, caro lettore, leggendo questa raccolta di racconti che ho scritto durante gli ultimi vent’anni. C’è un po’ di tutto. Non devi per forza leggerla in treno. Leggila dove ti pare e parti dall’inizio o aprendo a caso.”
(Niccolò Ammaniti)
Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella mattina di aprile

In una bella mattina di aprile, in una via laterale del quartiere di Harajuku, sono passato accanto a una ragazza perfetta, al 100%.
Non era una gran bellezza. E nemmeno di un’eleganza strepitosa. I capelli dietro la testa le avevano preso una brutta piega dormendo, e doveva essere vicino alla trentina. Eppure già a cinquanta metri di distanza avevo capito che era la ragazza perfetta per me. Dal momento in cui la vidi il mio battito cardiaco divenne irregolare, e l’interno della bocca mi si fece secco come la sabbia del deserto.
Forse anche a voi piace un tipo particolare di ragazza. Quelle che hanno le caviglie sottili, per esempio, o dei grandi occhi, o delle belle mani… non so, magari vi attirano quelle che amano mangiare con calma, lentamente, o qualche altra prerogativa del genere. Ovviamente ho anch’io il mio tipo. Mi è già successo di andare al ristorante e restare affascinato dal naso della ragazza che sedeva alla tavola accanto.
Nessuno però può dire come dev’essere quella perfetta al 100%. Prendiamo la ragazza di quel mattino, non ricordo neppure che forma avesse, il suo naso. Anzi, non ricordo neppure se avesse un naso. Tutto quello che ricordo è che non era una gran bellezza. Molto strano, vero?
“Ieri sono passato accanto alla ragazza perfetta al 100%”, dico a uno.
“Ah sì?” mi risponde lui. “Era molto bella?”
“No, non direi.”
“Allora era proprio il tuo tipo?”
“Non mi ricordo. Ho dimenticato tutto, che forma avessero i suoi occhi, se avesse molto seno o no…”
“Strano.”
“In effetti.”
“Allora cos’hai fatto?” continua lui con aria annoiata. “Le hai parlato, l’hai seguita?”
“Non ho fatto nulla”, rispondo io. “Le sono semplicemente passato accanto.”
Lei camminava da est a ovest, io da ovest a est. In una mattina di aprile veramente piacevole.
Avrei voluto parlarle, anche soltanto per una mezz’oretta. Chiederle di lei, raccontarle di me. E soprattutto spiegarle le complicate combinazioni del destino che avevano fatto sì che noi due passassimo uno accanto all’altra in una strada laterale di Harajuku in una bella mattina di aprile del 1981. Di sicuro tutto ciò era denso di caldi segreti, come un antico meccanismo costruito in tempi di pace.
Dopo aver parlato di queste belle cose, avremmo potuto pranzare insieme, andare a vedere un film di Woody Allen, fermarci al bar di qualche albergo a bere qualcosa. E con un pò di fortuna, magari finire insieme in un letto.
Una tale possibilità bussava alla porta del mio cuore.
La distanza tra lei e me si era ridotta a quindici metri.
“Bene, adesso le rivolgo la parola”, ho pensato. “Ma cosa le dico?”
“Buongiorno. Posso parlare un momento, per favore? Mi bastano trenta secondi.”
Assurdo. Mi avrebbe preso per un rappresentante di una compagnia di assicurazioni.
“Mi scusi, sa se c’è una tintoria aperta ventiquattr’ore su ventiquattro, da queste parti?”
Ancora peggio. Tanto per cominciare, non avevo neanche la borsa con la roba sporca!
Che fosse meglio dirle subito tutta la verità?
“Buongiorno. Lei per me è la ragazza perfetta al 100%.”
Non mi avrebbe mai creduto. E anche supponendo il contrario, era probabile che non avesse nessuna voglia di parlare con me.
“Io per lei sarò pure la ragazza perfetta, ma lei per me non è affatto l’uomo perfetto”, mi avrebbe risposto. In tal caso, mi sarei sentito perduto, ne sono certo. Ormai ho trentadue anni, tutto sommato invecchiare significa proprio questo.
Le sono passato di fianco davanti a un negozio di fiori. Un lieve spostamento d’aria tiepida mi ha accarezzato la pelle. Il marciapiede d’asfalto era bagnato d’acqua, ho sentito un profumo di rose. Non le ho rivolto la parola, non ce l’ho fatta. Lei indossava una maglia bianca, e nella mano destra teneva una busta bianca alla quale mancava il francobollo. Una lettera per qualcuno. A giudicare dagli occhi terribilmente assonati, poteva darsi che avesse passato la notte a scriverla. Poteva darsi che quella busta contenesse tutti i suoi segreti.
Ho fatto pochi passi e quando mi sono voltato la sua figura era già scomparsa tra la folla.
Naturalmente adesso so benissimo in che modo avrei dovuto abbordarla, quella volta. Ma comunque sarebbe stato un discorso troppo lungo, non avrebbe funzionato. Le idee che mi vengono in mente non sono mai molto pratiche.
Ad ogni modo quel discorso cominciava con C’era una volta… e finiva con non pensa che sia una storia molto triste?
C’erano una volta in un posto lontano un ragazzo e una ragazza. Il ragazzo aveva diciotto anni, la ragazza sedici. Nè l’uno nè l’altra potevano dirsi molto belli, erano soltanto due ragazzi normali e solitari come ce ne sono ovunque. Però erano fermamente convinti che da qualche parte al mondo esistessero la ragazza e il ragazzo perfetti per loro, al 100%.
Un giorno camminando per la strada si trovarono faccia a faccia.
“Che sorpresa, ti ho cercata dappertutto”, disse il ragazzo alla ragazza. “Forse non mi crederai, ma tu per me sei la ragazza perfetta al 100%.”
“Anche tu per me sei il ragazzo perfetto al 100%”, disse la ragazza. “Sei esattamente come ti immaginavo, in tutto e per tutto, mi sembra di sognare.
I due sedettero su una panchina nel parco, e parlarono, parlarono, senza stufarsi mai. Non si sentivano più soli. Trovare il compagno, la compagna perfetta, ed essere a propria volta trovati da lui, da lei, che cosa meravigliosa!
Nel cuore però nutrivano un piccolo, piccolissimo dubbio. Era giusto che un sogno si realizzasse così facilmente?
“Senti, facciamo un’altra prova”, disse allora il ragazzo in una pausa della conversazione. “Se siamo veramente perfetti al 100% l’uno dell’altra, di sicuro un giorno ci incontreremo di nuovo da qualche parte. E quando ci rincontreremo, se ci troveremo ancora perfetti al 100%, ci sposeremo subito, lì sul posto. Sei d’accordo?”
“Si, sono d’accordo”, rispose la ragazza.
Così i due si separarono.
Invece non c’era nessun bisogno di fare un’altra prova. Erano assolutamente perfetti l’uno per l’altra, al 100%. Ma le onde inevitabili del destino si presero gioco di loro.
Un inverno, entrambi si buscarono una brutta influenza che imperversava tutto l’anno, e dopo essere rimasti per molte settimane tra la vita e la morte, al risveglio avevano dimenticato completamente il proprio passato. Le loro teste erano vuote come il salvadanaio del giovane D. H. Lawrence.
Siccome però erano due ragazzi intelligenti e perseveranti, a costo di fare molti sforzi acquisirono una nuova coscienza e nuove capacità emotive e tornarono a fare magnificamente parte della società. Furono di nuovo in grado di prendere la metropolitana, di cambiare linea, di andare alla posta per spedire una raccomandata. E sperimentarono di nuovo l’amore, al 75% o all’85%.
Intanto il ragazzo aveva compiuto trentadue anni, la ragazza trenta. Il tempo era passato a una velocità strabiliante.
Poi, in una bella mattina di aprile, lui stava camminando in una via laterale di Harajuku, da ovest a est, per fare colazione al bar, mentre lei percorreva la stessa strada da est a ovest per spedire una raccomandata. Si incrociarono a metà strada. Per un attimo un barlume dei vecchi ricordi illuminò i loro cuori.
“E’ la ragazza perfetta per me, al 100%”, si disse lui.
“E’ il ragazzo perfetto per me, al 100%”, si disse lei.
La luce dei loro ricordi però era troppo debole, le loro parole non erano chiare come quattordici anni prima. Si passarono accanto senza parlarsi, e scomparvero tra la folla in direzioni opposte.
Non pensa che sia una storia molto triste?
E’ così che avrei dovuto parlarle.
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Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella mattina di aprile,
di Haruki Murakami, dal libro L’ elefante scomparso e altri racconti
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I migliori racconti brevi
Le 2 premesse, prese in prestito dall’articolo che mi ha dato l’idea per scrivere questo articolo, sono: tralasciare opere di lunghezza intermedia (come “Il corpo” di Stephen King, che altrimenti sarebbe presente senza dubbio) e che il racconto breve degno di questo nome deve rimanere in mente, sì come una canzonetta.
Un’altra premessa è che quando si parla di questa forma di scrittura, io amo profondamente Raymond Carver, John Cheever e Charles Bukowski.
I migliori racconti brevi che ho letto:
- Il nuotatore, di John Cheever
- Una radio straordinaria, di John Cheever
- Il cuore rivelatore, di Edgar Allan Poe
- Cattedrale, di Raymond Carver
- Una cosa piccola ma buona, di Raymond Carver
- Sentinella, di Fredric Brown
- L’esame, di Richard Matheson
- La macchina strizzafegato, di Charles Bukowski
- Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella mattina d’aprile, di Haruki Murakami
(lista in continuo aggiornamento, non mi limiterò a 10)
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Come dicevo, il mio articolo nasce da un altro articolo, per la precisione “I 10 migliori racconti brevi” del blog Persecutorio.
- La Chioma, di Guy de Maupassant
- Dinanzi alla legge, di Franz Kafka
- Il nuotatore, di John Cheever
- Il cuore rivelatore, di Edgar Allan Poe
- Cattedrale, di Raymond Carver
- L’orco insabbia, di Ernst T. Hoffmann
- Un giorno ideale per i pescibanana, di J. D. Salinger
- Cocker a teatro, di Ian McEwan
- Sentinella, di Fredric Brown
- Il pallone, di Donald Barthelme
Setacciando i commenti a quell’articolo, ho recuperato anche questi titoli:
- Catena, di Tobias Wolff
- Il mantello, di Dino Buzzati
- Una goccia, di Dino Buzzati
- Eppure bussano alla porta, di Dino Buzzati
- I giorni, di Dino Buzzati
- Rosso Malpelo, di Giovanni Verga
- La carriola, di Luigi Pirandello
- La tigre, di Julio Florencio Cortazar
- La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata, di Gabriel Garcia Marquez
- Ballata, di John Cheever
- Vedendo una ragazza perfetta al 100% in una bella mattina d’aprile, di Haruki Murakami
- Un posto pulito illuminato bene, di Ernest Hemingway
- Il ritorno del soldato, di Ernest Hemingway
Altri titoli recuperati online:
- La terapia, di John Cheever
- Intimità, di Raymond Carver
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Tenniste, una galleria sentimentale
Lo prenderei anche solo per la foto in copertina.
Fonte: gazzetta.it
Siamo felici, non è vero?
Oggi, mentre andavo con l’autobus in ospedale, ho letto il racconto “Una radio straordinaria”, contenuto nella raccolta “Il nuotatore” di John Cheever (fra l’altro anche il racconto che dà il titolo alla raccolta è meraviglioso).
E’ la storia di una coppia di New York (anche da qui la mia scelta del quadro di Hopper) che acquista una radio nuova, ma da un giorno all’altro, invece di trasmettere musica, inizia a trasmettere le conversazioni degli altri inquilini del palazzo.
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[…]
Jim ritornò a casa verso le sei, la sera seguente. Emma, la domestica, andò ad aprirgli la porta. Si era tolto il cappello e stava levandosi il cappotto, quando Irene arrivò di corsa nel corridoio. Il suo viso era rigato di lacrime e aveva i capelli in disordine. “Sali al 16-C, Jim,” gridò. “Non toglierti il cappotto, sali subito al 16-C. Il signor Osborn sta picchiando sua moglie. È dalle quattro che stanno litigando e ora lui la sta picchiando. Vai su e fallo smettere.”
Dalla radio in soggiorno Jim poteva udire grida, parolacce e colpi sordi. “Lo sai che non devi ascoltare queste cose,” le disse. Entrò con passo deciso in soggiorno e spense la radio. “È indecente,” le disse. “È come spiare attraverso le finestre. Lo sai bene che non devi ascoltare queste cose. Potevi benissimo spegnere la radio.”
“Oh, è una cosa così orribile, così tremenda,” singhiozzava Irene. “È tutto il giorno che l’ascolto, è una cosa così deprimente.” “E allora, se è così deprimente, perché l’ascolti? Io ho comperato questa maledetta radio per darti un po’ di divertimento,” replicò lui. “E l’ho pagata un bel po’ di soldi. Pensavo che potesse renderti felice. Volevo renderti felice.”
“No, no, non bisticciare con me,” gemette Irene, posandogli la testa su una spalla. “Gli altri hanno continuato a litigare per tutto il giorno. Tutti stanno litigando. Sono tutti preoccupati per i soldi. La madre della signora Hutchinson sta morendo di cancro in Florida e loro non hanno abbastanza soldi per mandarla alla clinica Mayo. Almeno è quello che dice il signor Hutchinson, che non hanno abbastanza soldi. E una donna che abita in questa casa ha una relazione con l’uomo tuttofare, con quell’orribile uomo. È troppo disgustoso! E la signora Melville ha disturbi al cuore, e il signor Hendricks perderà il suo posto di lavoro in aprile, e la signora Hendricks dice delle cose orribili su questa faccenda, e quella ragazza che fa suonare il Valzer del Missouri è una prostituta, sì una comune prostituta, e l’uomo dell’ascensore ha la tubercolosi, e il signor Osborn sta picchiando la signora Osborn.” Irene gemeva, tremava per il tormento e cercava di tergersi le lacrime dal viso con il dorso della mano.
“E allora, perché stai ad ascoltare?”, domandò ancora Jim. “Perché ascolti tutte queste cose, se ti fanno sentire così infelice?”
“Oh, no, no, no!”, gridò Irene. “La vita è troppo spaventosa, troppo sordida e angosciosa. Ma noi non siamo mai stati come loro, vero tesoro? Lo siamo stati? Voglio dire, noi siamo sempre stati buoni e sensibili e affettuosi l’uno con l’altro, non è vero? E abbiamo due bambini, due bellissimi bambini. La nostra vita non è sordida, vero che non lo è, tesoro? È vero?” Gli gettò le braccia al collo e attirò il suo viso verso il proprio. “Noi siamo felici, non è vero, tesoro? Siamo felici, non è vero?”
[…]
Irene si alzò da tavola e andò in soggiorno. Jim arrivò fino alla porta e da lì le gridò: “Come mai sei diventata una santarellina tutt’a un tratto? Che cosa ti ha trasformato in una suora di clausura da un giorno all’altro? Hai rubato i gioielli di tua madre prima che fosse omologato il suo testamento. Non hai mai dato a tua sorella un centesimo di quei soldi che erano destinati a lei, nemmeno quando ne aveva bisogno. Hai reso impossibile la vita a Grace Howland, e dov’erano poi tutta la tua carità e la tua virtù quando sei andata a fare quell’aborto? Non dimenticherò mai com’eri fredda. Hai fatto la valigia, e sei andata a far ammazzare quella creatura come se stessi andando a Nassau. Se avessi avuto qualche motivo, se avessi avuto qualche buon motivo…”
Irene rimase per un attimo davanti a quell’odioso mobile della radio, umiliata e disgustata, ma trattenne la mano sull’interruttore prima di far tacere la musica e le voci, sperando che quello strumento potesse parlarle dolcemente, che le giungesse la voce della bambinaia degli Sweeney. Jim continuava a gridare dalla porta. La voce alla radio era suadente e distensiva. “Un disastro ferroviario all’alba di questa mattina a Tokio,” diceva l’altoparlante. “Ventinove persone sono rimaste uccise. Un incendio in un ospedale cattolico per bambini ciechi, nei pressi di Buffalo, è stato estinto nelle prime ore del mattino dalle suore. La temperatura è di otto gradi, l’umidità ottantanove”.



