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L’Uomo di Marte, recensione

Recensione del libro L’Uomo di Marte, di Andy Weir
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E’ la versione più probabile di quella che sarà la nostra prima missione su Marte. Tutte le informazioni sul pianeta sono reali come pure la fisica del viaggio spaziale. Ho anche calcolato i vari percorsi orbitali di cui si parla nella storia e per farlo ho dovuto programmare un software apposito per tracciare le traiettorie a spinta costante.
– Andy Weir
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Lo scorso weekend ho terminato la lettura del libro “L’Uomo di Marte”, di Andy Weir (ingegnere del software e space nerd dichiarato, amante di ingegneria aerospaziale, fisica relativistica, meccanica orbitale e storia dell’esplorazione spaziale).
Nell’articolo che segue farò una breve recensione, senza spoilerare o anticipare nulla, se non la premessa iniziale (di cui si legge già a pagina 1 e sulla sovraccoperta).
Mark Watney è stato uno dei primi astronauti a mettere piede su Marte. Ma il suo momento di gloria è durato troppo poco. Un’improvvisa tempesta lo ha quasi ucciso e i suoi compagni di spedizione, credendolo morto, sono fuggiti e hanno fatto ritorno sulla terra. Ora Mark si ritrova completamente solo su un pianeta inospitale e non ha nessuna possibilità di mandare un segnale alla base.
La premessa è decisamente accattivante per chi, come me, ama lo spazio, i viaggi spaziali e tutto ciò che concerne questo settore; per fortuna la recente avventura di Rosetta e della sonda Philae hanno rilanciato l’attenzione sui viaggi spaziali a livello mondiale ed hanno anche risvegliato la mia antica passione.
In cerca di materiale nuovo da leggere o vedere, mi sono imbattuto in questo libro della Newton Compton, un buon cartonato ma a prezzo abbordabile, 9,90 euro e con la suddetta premessa accattivante.
“Gravity incontra Robinson Crusoe”, recita veritiera la copertina.
Senza dilungarmi troppo, giungo al punto:
E’ un libro di facile lettura (a parte qualche tecnicismo che potrebbe essere leggermente ostico ai non amanti della Fisica), di ottimo intrattenimento, che sono felice di aver letto, che consiglierei, che ha dei pregi, ma anche dei difetti.
I pregi sono sicuramente il rispondere a molte domande e curiosità, praticamente a tutti quei “perché” e “cosa succederebbe se…” che potrebbe porre una persona (o anche un ragazzino). Davanti a difficoltà, problemi e catastrofi, come può cavarsela il protagonista? Il tutto condito con alcuni momenti di ironia.
Il difetto principale, invece, è la mancanza di introspezione psicologica, che invece mi sarebbe piaciuto trovare, anche considerando che il protagonista si trova da solo su un pianeta, con la prospettiva di morire o, nella migliore delle ipotesi, di passare anni in completa solitudine in un luogo dove non è possibile trovare cibo, acqua e dove ogni minimo problema può rivelarsi fatale.
Un estratto del libro è disponibile qui: L’Uomo di Marte, estratto.
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“L’uomo di Marte” è il primo romanzo dell’autore americano Andy Weir, che lo aveva auto-pubblicato in ebook nel 2011; in seguito la Crown Publishing ne acquistò i diritti e lo ripubblicò nel febbraio 2014.
Andy Weir ha vinto alla lotteria perché, oltre a riscuotere un notevole successo, ha visto anche l’interesse della Twentieth Century Fox che ha voluto farne la trasposizione cinematografica che uscirà nel 2015, diretta da Ridley Scott e interpretata da Matt Damon (a quanto pare ormai abituato al ruolo di uomo abbandonato su un pianeta inospitale, vedi Interstellar), Jessica Chastain, Jeff Daniels e Sean Bean.
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Riporto di seguito un breve testo in cui l’autore Andy Weir parla di sé:

Andy Weir
I’m a nerd.
OK, a lot of people say that these days. But I really am. I was hired as a computer programmer for a national laboratory at age 15. I have seen every existing episode of “Doctor Who” (classic and modern). I study orbital dynamics as a hobby. My idea of a good time is sitting down and drawing on that knowledge to imagine a space mission from beginning to end, getting as many details right as I can.
Pretty frickin’ nerdy, right?
On top of that, as you might expect, I’ve also been a science fiction fan ever since I was old enough to read, which was when I started plowing through my dad’s nearly infinite collection of Heinlein, Clarke, Asimov and all the other great authors of the genre.
One day, in between doing highly charismatic non-nerdy things, I started working up a manned Mars mission in my head. I even wrote my own software to calculate the orbital trajectory my imaginary crew would take to get from Earth to Mars. And not some boring Hohmann Transfer, either! I envisioned a constantly accelerating VASIMR powered ship, which — ahem. Sorry, got carried away. Anyway, I had to account for failure scenarios on their surface mission. What if something went wrong? How could I design the mission so the crew would have contingency plans? What if they had multiple failures, one after another, that ruined those contingency plans?
While working that out, I started to realize their increasingly desperate solutions would make a pretty interesting story. That’s when I came up with the idea for “The Martian.”
Oh, one more nerdy hobby I forgot to mention up top: I’ve also been a wannabe writer since I was a teenager. I wrote countless short stories and even penned two complete books before “The Martian.” My first book was so horrible I have deleted all copies of it. Thankfully, it was before the Internet so there are no lurking caches of it anywhere. I made up for that failure by writing a second book that was also crappy. This time I resolved to do better.
So I created an unlucky main character named Mark Watney and then spent 368 pages making his life a living hell. He’s stranded on Mars, his crew has evacuated and thinks he’s dead, and he has no way to contact Earth.
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