Intervista per hDL Magazine
Nell’ultimo numero di hDL Magazine c’è un articolo dedicato al rugby con una intervista al sottoscritto ed una al famoso rugbista australiano David Pocock.
hDL è un high-end magazine israeliano dedicato alle ultime tendenze, design, life-style, arte, musica e sport ed ha circa 40.000 lettori.
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Ecco la mia intervista:
Com’è iniziato il tuo amore per il rugby?
E’ iniziato per caso, 2 anni esatti fa.
Stavo parlando con un collega, Gianmaria Zanotti, della burocrazia che c’è per entrare allo stadio di calcio per fotografare il Cesena (la squadra della mia città, che milita nel campionato italiano di serie A), quando mi ha detto “Perché non provi col rugby? C’è meno burocrazia”.
Non avevo mai pensato al rugby, non sapevo nemmeno che ci fosse una squadra di rugby a Cesena, ma informandomi su Google ho scoperto che c’era e che giocava proprio quel giorno, 2 ore più tardi, così ho raccolto la mia attrezzatura e sono andato. Mi sono divertito molto quel giorno e nel giro di poche settimane sono diventato il fotografo ufficiale della squadra e ho iniziato a conoscere questo mondo.
Cosa trovi di così eccitante circa il gioco e cosa rende il fotografare il rugby così speciale?
Ho fotografato tanti sport, ma quelli che ho trovato più interessanti e fotogenici sono quelli in cui gli atleti sono completamente immersi nell’azione e il contatto fisico è pieno: non c’è una rete che li separa, non gareggiano uno alla volta, non si possiede altro che le proprie mani, il proprio corpo e il proprio coraggio di andare incontro al gioco.
Il rugby è lo sport che preferisco in questo senso, subito dopo vengono la boxe e le arti marziali.
Lo consideri uno sport violento o pericoloso?
Non è violento. Può essere più pericoloso di altri sport, visto che si basa sul contatto fisico, ma proprio per questo c’è di fondo una preparazione specifica, mirata ad affrontarlo nel miglior modo possibile; anche mentalmente si è più predisposti allo “scontro” e quindi si è più pronti e reattivi.
Come rivista hDL mostra una grande varietà di passioni per la vita cosa significa il rugby per te da questo punto di vista?
Ci sono vari motivi che hanno fatto nascere in me questa passione per il rugby.
Innanzitutto ho capito che il rugby è veramente passione, coraggio, generosità, lealtà, amicizia e rispetto, non si tratta solo di un mantra ripetuto da chi è del settore. Questi valori si vedono sia in campo, fra compagni di squadra e fra avversari, sia fuori dal campo, basti pensare all’importanza del terzo tempo, quello in cui si mettono da parte le rivalità e si festeggia tutti assieme.
Ovviamente in campo l’adrenalina scorre a fiumi e non è raro sentire lamentele, vedere contatti scorretti o ascoltare accuse agli arbitri, sono sfoghi umani, nel rugby però ho apprezzato la capacità di ridimensionarli rapidamente e senza trascinare rancori.
Mi rendo conto che questo sport è capace di influenzare positivamente le persone che lo frequentano, di stimolare amicizia e lealtà.
Il rugby è uno degli sport meno inquinati.
Quali sono le differenze principali fra rugby e football americano?
Non conosco bene il football americano (ma presto rimedierò, visto che dovrò fotografarlo).
Al di là dei tecnicismi e delle regole, vedo il rugby come uno sport più corale, visto che nelle azioni è fondamentale il supporto dei compagni, mentre percepisco il football americano più individualista.
Puoi delineare le caratteristiche dei giocatori di rugby?
I giocatori di rugby sono ragazzi e uomini come noi, costantemente animati però da valori nobili. Nella vita non si finisce mai di imparare, frequentare la “scuola” del rugby è sicuramente un’esperienza utile per maturare caratterialmente e collettivamente. Non a caso spesso realtà diverse si avvicinano al rugby per carpirne i valori e lo spirito di gruppo.
Raccontaci della popolarità del rugby nel mondo
Il rugby è molto diffuso nel Regno Unito e negli Stati dell’ex Impero Britannico (Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, ecc), in Francia, Argentina, Russia e altri paesi.
La leggenda attribuisce allo studente William Webb Ellis l’invenzione del rugby: nel 1823, in occasione di una partita di football giocato con regole ancora non standardizzate, raccolse la palla con le mani e iniziò a correre verso la linea di fondo campo avversaria per poi schiacciarla oltre la linea di fondo campo urlando: “Meta!”.
Soltanto negli anni ’90, con l’avvento del professionismo, il rugby ha assunto la forma di uno sport moderno, con la formazione di giocatori professionisti, l’unione di club in franchigie, la conseguente attenzione mediatica e l’arrivo degli sponsor; anche il regolamento è stato cambiato, per esaltarne la spettacolarità e ridurre le fasi statiche, ma anche per ridurre i comportamenti antisportivi.
In Italia il rugby si sta diffondendo molto negli ultimi anni. Inizialmente pensavo che fosse solo una mia impressione, dal momento che ero io stesso ad essere entrato in quel mondo e iniziavo a capire quanto fosse vasto, scoprendo così che anche molti miei amici e conoscenti già lo seguivano o praticavano.
In seguito mi sono accorto che invece questa diffusione stava e sta effettivamente avvenendo in tutto il paese.
Hai dei ricordi indimenticabili della tua carriera di fotografo?
Per quanto riguarda il rugby, professionalmente, non dimenticherò mai quando, dopo appena 2 mesi che lo fotografavo, sono stato coinvolto nella campagna pubblicitaria che avrebbe annunciato la partnership fra Lexus e i Wallabies (la nazionale di rugby australiana), nella quale è stata usata una mia fotografia.
Personalmente, invece, un momento indimenticabile è stato, sempre all’inizio del mio incarico come fotografo del Cesena Rugby, quando un giocatore della squadra avversaria, prima dell’inizio della partita, è venuto a cercarmi in campo e a chiedermi se ero io Filippo Venturi e facendomi i complimenti per le fotografie di rugby che aveva visto sui giornali e sul mio sito.
Questo gesto, che spesso mi ricapita, mi rende felice perché evidenzia come stima e rispetto siano immancabili in questo sport.
In un’altra occasione ho ricevuto una email di complimenti da una ragazza americana che mi annunciava di aver scritto una tesi su di me e le mie fotografie di rugby (purtroppo non ho avuto ancora occasione di leggerla).
Al di fuori del rugby, invece, i reportage sono per me esperienze sempre emotivamente coinvolgenti. Ricordo in particolare quello che feci nel 2011 a L’Aquila, città italiana devastata nel 2009 da un terremoto molto violento. Perlustrando una casa crollata del paese di Paganica, vicino a L’Aquila, ho trovato una fotografia e una lettera datata 1994, incorniciate assieme, dove la famiglia araba ritratta nella fotografia ringraziava gli abitanti della casa (morti nel terremoto) per l’ospitalità e l’aiuto ricevuto. Era per terra, col vetro rotto… mi sono commosso e, anche se non avrei potuto, la presi con me e ancora oggi la conservo così come l’ho trovata.
Un estratto della lettera recita così: “Ringrazio per l’attenzione e l’aiuto che abbiamo ricevuto; perché essi dimostrano che la solidarietà non ha frontiere, non la impediscono né la lontananza né la differenza di religione.”
Quali sono i tuoi progetti nel campo del rugby?
Come interesse personale ed umano vorrei fotografare il rugby in paesi dove, a causa di problematiche varie, uno sport (come il rugby, ma non solo), assume un ruolo fondamentale di aggregazione di giovani, per insegnare loro certi valori e per farli evadere un attimo da realtà difficili.
Professionalmente vorrei fotografare i mondiali di rugby, magari seguendo da vicino una squadra, sia nei momenti in campo che al di fuori.
Puoi raccontarci altri temi che ti piace fotografare.
Mi ritengo un reporter e mi piace documentare situazioni ed eventi, specialmente se a carattere storico-sociale.
Per lavoro, però, mi sono ritrovato a realizzare servizi fotografici in stile reportage di sport, di teatro (che adoro), concerti e, ovviamente, gli immancabili matrimoni.
Sei mai stato in Israele?
Non ci sono mai stato ma mi piacerebbe molto visitarlo perché sono convinto che abbia tanto da offrire a livello storico, culturale e artistico.
Mi affascinano molto le città israeliane (Gerusalemme in primis) e i luoghi noti per motivi religiosi e storici.
Sarei curioso anche di visitare Gaza, per capire meglio una realtà finora, per me, confinata ai notiziari televisivi.
Chissà, magari potrei venire anche per fotografare il rugby!
Rugby o Calcio?
In Italia lo sport più diffuso è il calcio e anche io, come tanti, sono cresciuto praticandolo e seguendolo. Ancora oggi continuo a praticarlo a livello amatoriale nel tempo libero e mi diverte molto.
Ma dopo aver scoperto il rugby, se tornassi indietro…
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Devo ringraziare per il supporto nella realizzazione dell’intervista e la traduzione (in inglese ed ebraico): Gil Pinkas di hDL Magazine, il Centro linguistico di Cesena di Silvia Fabbri, Francesco Urbani, Elisa Cimatti, Wim Fournier e Anmar Al-jazairy.
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