Foto e musica, diversamente abili
Voglio riportare un articolo di Michele Smargiassi, “Foto e musica, diversamente abili“, che ho apprezzato:
La fotografia è muta, la musica è cieca: ma che spettacolo, che fuochi d’artificio quando queste due arti diversamente abili s’incontrano. Si sono cercate, si sono trovate, si sono amate, non si sono più lasciate. Si sono scambiate i loro anelli fatati di fidanzamento, e adesso la musica si vede, e le fotografie suonano, e tutto sembra così naturale che pare impossibile immaginare un’epoca, che pure ci fu, nella quale i volti dei musicisti fossero del tutto sconosciuti, tranne ai pochi che li ascoltavano eseguire dal vivo le loro composizioni.
Ma ecco, è proprio qui il segreto dell’incontro magico tra l’occhio e l’orecchio. Gino Castaldo, che ha rinchiuso centinaia di grandi fotografie di grande rock e pop in una scatola preziosa (Music Box, edito da Contrasto) ce lo spiega con grande intuito. Immagine e musica non s’incontrarono subito. La fotografia, protesi meccanica dell’occhio, era già adulta quando Edison inventò il fonografo, protesi meccanica dell’orecchio. E fu quello il vero incontro: fra due percezioni differite. Solo quando la musica si staccò, si emancipò dall’esecutore e cominciò a risuonare anche in sua assenza, congelata e poi scongelata da dischi di vinile, si sentì il bisogno di conservare allo stesso modo anche l’immagine del musicista, emerse il preponente bisogno di immaginare quel suonatore assente. Le copertine dei dischi, le riviste di spettacolo, i poster nelle camere degli adolescenti furono l’altare di quello splendido matrimonio misto.
Ma che ménage difficile. Come si fotografa la musica? Tu fai clic mentre sei immerso nel vapore sonoro che t’inebria come l’incenso, ma quel che viene fuori sono statue di santi con le mani su una chitarra, o con le guance paonazze attorno all’ancia di un clarinetto; la musica non c’è, il dio delle note è svanito, ci sono solo i suoi devoti, e i suoi accessori rituali. La musica in fotografia è una gigantesca metonimia, ovvero ti mostra una cosa per suggerirtene un’altra. Geniale allora fu Herman Leonard, scomparso un anno fa, forse il più grande fotografo di jazz assieme a William Claxton, che scoprì l’oggetto transazionale perfetto per la musica: il fumo, in controluce sullo sfondo nero dei localini dove negli after hours ce n’era sempre in abbondanza, e lo trasformò nell’apparizione sacra, l’ectoplasma della musica, e da allora quanti riccioli e volute di fumo nelle foto di musica di ogni genere.
La musica dunque si può vedere, si può incarnare. Difatti questo cofanetto di immagini fa la scelta, sofisticata, concettuale e divertente, di scompigliare la storia della musica fotografata, ignorando ere, generi, storie e geografie, e catalogandola invece per i suoi soggetti materiali ricorrenti e quasi ossessivi. La chitarra, ad esempio: quando Hendrix bruciò la sua, come la imbracciava il Boss, come non la imbracciava Patti Smith, gesti, eventi visuali che senza la fotografia non avrebbero avuto senso, né memoria. Oppure il palco: quello dei grandi raduni, Woodstock o Wight, altare, teatro, set tutto insieme. E poi gli occhi del musicista, che solo il fotografo raggiunge così da vicino. E via così.
E che ménage passionale, anche. Che abbraccio, che emulazione, che identificazione fra gli eroi del suono e quelli della luce. Quanti fotografi musicisti: Ansel Adams fino a vent’anni era una promessa del pianoforte classico, Weegee sbarcava il lunario accompagnando al violino i film del muto, Florence Henri studiò piano a Parigi addirittura con Ferruccio Busoni, e ancora Lisette Model, James Coburn, Eugene Smith, William Eggleston, “Chim” Seymour, tutti suonavano benino qualcosa. E il viceversa non è meno vero: Lou Reed, Bryan Adams, Michael Nyman, Graham Nash, Bill Wyman sono fotografi non disprezzabili, Madonna è collezionista e eccellente conoscitrice di foto. E ci sarà qualche ragione se Paul McCartney sposò la fotografa Linda, o Patti Smith fu la musa di Robert Mapplethorpe.
La fotografia ha senz’altro cambiato la musica: niente rock’n’roll senza la prepotenza del corpo esibito, niente pop senza il look delle star; da quando c’è un obiettivo sotto il palco, per farsi sentire bisogna prima farsi vedere. La fotografia ha convinto la musica a farsi performance. Più difficile è capire come la musica ha cambiato la fotografia, oggi che entrambe si trovano con grande sorpresa a convivere fianco a fianco, smaterializzate e numerizzate, nella stessa casa: i foto-audio-telefonini in tasca a milioni di adolescenti.
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