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Stephen King – Premium Harmony (tradotto da Annalisa Pinnone)
Grazie alla disponibilità di Annalisa, posso pubblicare la traduzione di un bel racconto di Stephen King, inedito in Italia, apparso sul “New Yorker” il 9 novembre 2009.
- Premium Harmony by Stephen King (The New Yorker Magazine, 9 november 2009)
- Premium Harmony di Stephen King (tradotto da Annalisa Pinnone)
“Premium Harmony”, di Stephen King (tradotto da Annalisa Pinnone)
Sono sposati da dieci anni e per lungo tempo tutto è andato bene – molto bene – ma adesso discutono. Discutono un bel po’. È sempre davvero lo stesso argomento. Ha circolarità. Ray pensa che sia come seguire le tracce di un cane. Quando discutono sono come levrieri che inseguono un coniglio meccanico. È come se si portasse avanti questa stessa scena di volta in volta, ma, in realtà, non si riuscisse a vederla. Ciò che si vede è solo il coniglio.
Pensa che potrebbe essere diverso se avessero avuto dei bambini, ma lei non poteva. Questo disse il dottore, quando infine fecero un controllo, e divenne un problema per lei. Circa un anno dopo, lui le comprò un cane, un Jack Russel che lei ha chiamato Bizness. Ha detto così a chi glielo chiedeva. Lei ama quel cane, ma adesso cominciano a discutere di nuovo.
Stanno andando al Wal-Mart per prendere i semi per l’erba del prato. Hanno deciso di vendere la casa – non possono permettersi di tenerla – ma Mary dice che non possono andare via se non hanno prima sistemato l’impianto idraulico e ottenuto il prato. Dice che quelle zone spoglie lo fanno sembrare baraccopoli irlandese e tutto a causa della siccità. È stata un’estate calda e non ha piovuto. Ray le dice che non importa quanto il seme sia buono, senza la pioggia l’erba non crescerà. Le dice che devono aspettare.
“Poi passa un altro anno e noi siamo ancora lì!” dice lei: “Non possiamo aspettare un altro anno, Ray. Stiamo andando in bancarotta!”
Quando lei parla, Biz la guarda dal suo posto sul sedile posteriore. Qualche volta guarda Ray, quando parla lui, ma non sempre. La maggior parte delle volte guarda Mary.
“Che cosa pensi?” le dice lui. “Che cominci a piovere solo perché tu non debba preoccuparti di andare in bancarotta?”
“Siamo qui insieme, nel caso tu te lo sia dimenticato” dice lei.
Ora stanno percorrendo Castle Rock. È piuttosto morta… Quella che Ray chiama “l’economia” sembra scomparsa da questa parte del Maine. Il Wal-Mart si trova sul lato opposto della città, accanto al liceo dove Ray fa il bidello e la gente scherza dicendo che il Wal-Mart ha un semaforo tutto suo.
“Penny saggio e Pound sciocco.” dice lei: “Lo hai mai sentito?”
“Un milione di volte, da te.” brontola lui.
Si può vedere il cane, dallo specchietto retrovisore, che guarda lei. Lui ha una sorta di odio per questo modo di fare di Biz. Gli fa venire in mente che nessuno di loro due sa di cosa sta parlando.
“E andiamo al Quik-Pik” dice lei: “voglio prendere un pallone a Tallie per il suo compleanno.” Tallie è la figlia del fratello di lei. Ray suppone che questo la renda sua nipote, anche se non è certo che sia proprio giusto, visto che è consanguinea dalla parte di Mary.
“I palloni li hanno anche al Wal-Mart” dice Ray: “E al Wally World costa tutto meno.”
“Ma quelli che ci sono al Quik-Pik sono viola e il viola è il suo colore preferito. Non sono sicura che ce ne siano di viola al Wal-Mart!”
“Se non ci sono, andremo al Quick-Pik mentre torniamo indietro dal lato opposto.” Lui sente un gran peso che lo opprime alla testa. Lei otterrà quel che vuole. Ci sa fare in queste cose e questo gli fa pensare che qualche volta il matrimonio è come una partita di calcio dove lui è l’ultimo giocatore che sostiene la squadra perdente. Deve stare al suo posto. Fare passaggi corti.
“Se torniamo indietro dal lato opposto, sbaglieremo!” dice lei come se fossero imbottigliati nel traffico invece che girare in una città deserta dove il più dei negozi è aperto.
“Io voglio solo prendere in fretta il pallone ed uscire in fretta da qui!” A duecento pounds al giorno, dice Ray, i giorni scorrono in fretta.
“Abbiamo novantanove centesimi,” dice lei :“non sono certamente pochi!”
Non essere così stupida, pensa lui, ma le dice: “Mentre tu stai qui mi compro un pacchetto di sigarette. Vado.”
“Se tu stessi calmo, noi avremmo un extra di quaranta dollari a settimana. O anche più!”
Lui cerca di risparmiare pagando un amico nel Sud Carolina che gli prende una stecca da una dozzina di pacchetti. Prendendoli nel Sud Carolina vengono 20 dollari a stecca. Sono comunque tanti soldi, soprattutto adesso in questa situazione. Non è che sia proprio come far economia. Lui le ha detto di questo tramite e le ha detto di nuovo, ma qual è il punto? Da un orecchio gli entra e dall’altro gli esce.
“Fumavo due pacchetti al giorno,” dice: “adesso ne fumo meno di metà pacchetto!”.
Attualmente, quasi tutti i giorni sta fumando di più. Lei lo sa e Ray sa che lei se ne è accorta. Questo è il matrimonio dopo un po’. Il peso alla sua testa comincia a peggiorare e vede pure Biz che la guarda. Odia quel maledetto cane, lui paga il suo cibo e quello guarda sempre lei! E dire che un Jack Russel si suppone sia intelligente!
Lui gira intorno al Quik-Pik.
“Se ne hai modo, le dovresti acquistare su un’isola indiana!” dice lei.
“Al Rez non vendono sigarette senza imposte da dieci anni,” ribatte lui: ”te l’ho già detto. Tu non ascolti!” Spinge sul gas e parcheggia accanto al negozio. Non c’è ombra. Il sole è diretto su loro. L’aria condizionata lavora poco ed entrambi sono sudati. Nella Seat nera, Biz ansima e lo fa come fosse un sorriso.
“Allora dovresti smettere!” dice Mary.
“E tu dovresti smetterla con quei Little Debbie!” dice lui. Non vuole dirglielo – sa quanto lei sia sensibile riguardo al suo peso – ma viene fuori. Non può trattenerlo. È un mistero.
“Non ne mangio più,” dice lei ”qualcuno, voglio dire. Ogni tanto.”
“Mary, la scatola è sulla mensola in alto! Una confezione da ventiquattro. Dietro la farina.”
“ Hai curiosato?” Un rossore le sorge sulle guance e lui la rivede come quando era ancora bella. Molto bella, in ogni caso. Lui le diceva sempre che era molto bella, anche quando sua madre sosteneva il contrario.
“Ho cercato un apribottiglie,” dice: “Ho trovato una bottiglia di soda. Del tipo con il tappo vecchio stile.”
“Per questo hai guardato in quel maledetto pensile!”
“Va dentro e prendi questa palla” le dice: “E prendimi le sigarette. Può essere uno sport!”
“Non puoi aspettare fino a quando torniamo a casa? Non ce la fai ad aspettare così a lungo?”
“Puoi prendere quelle che costano poco,” dice: “quelle senza marca. Si chiamano Harmony Premium.” Hanno un sapore di merda fatta in casa, ma andranno bene.
Se solo starà zitta.
“E dove intendi fumare? In macchina, suppongo, quindi devo respirarle anch’io!”
“Aprirò i finestrini. Lo faccio sempre!”
“Prenderò la palla, poi torno. Se tu senti il bisogno di spendere quattro dollari e cinquanta centesimi per avvelenarti i polmoni, puoi andarci tu! Io starò seduta qui con il bambino!”.
Ray odia che lei chiami Biz il bambino. Lui è un cane, può essere intelligente come ama vantarsene Mary quando sono in compagnia, ma fa sempre merda fuori e dopo si lecca le palle.
“Compra un po’ di Twinkies mentre sei lì,” le dice lui: “Oppure potresti vedere se c’è qualche offerta speciale sugli Ho Hos…”
“Sei così meschino!” ribatte lei e scende dall’auto sbattendo la portiera. Lui ha parcheggiato troppo vicino all’edificio e lei ne è disgustata fino a che non ha oltrepassato il portabagagli dell’auto, e lui sa che lei sa di essere osservata, visto che sembra ancora più scocciata. Lui sa che lei pensa che abbia parcheggiato vicino all’edificio di proposito per farla innervosire, e forse è così.
“Bene, Biz, vecchio amico, ci siamo solo tu ed io.”
Biz si sdraia sul sedile posteriore e chiude gli occhi. Quando Mary accende la radio e gli dice di ballare lui si alza sulle zampe posteriori e gira per qualche secondo e se lei gli dice (con una voce dolce) che è un bimbo cattivo lui si mette in un angolo e si siede faccia al muro, ma fa sempre merda all’aperto.
Lui è seduto lì e lei non torna. Ray apre il vano portaoggetti, tenta la fortuna alla ricerca di alcune sigarette che potrebbe aver dimenticato, ma non ce ne sono. Riesce a trovare un presentabile Sno Ball ancora avvolto nella sua confezione. Gli dà un colpetto. È rigido come un cadavere. Avrà almeno un migliaio di anni. Forse più. Forse è arrivato con l’arca di Noè.
“Ognuno ha il suo veleno!” dice. Scarta lo Sno Ball e lo butta sul sedile posteriore. ”Ne vuoi Biz?”
Biz sgranocchia lo Sno Ball in due morsi. Poi si dà da fare per leccare dal sedile fino all’ultimo pezzetto di noce di cocco. Mary lo avrebbe rimproverato, ma il cane di Mary non è qui.
Ray guarda il misuratore del gas e vede che la lancetta è scesa a metà. Avrebbe potuto spegnere il motore e aprire i finestrini, ma poi si sarebbe davvero arrostito. Seduto qui al sole, in attesa che lei trovi una palla di plastica viola per
novantanove centesimi pur sapendo che ne avrebbe potuta comprare una a settantanove al Wal-Mart! Solo che sarebbe stata gialla o rossa. Ma non era abbastanza per Tallie. Solo viola per la principessa!
Lui è ancora seduto lì e lei non è tornata. “Cristo su un pony!” dice. Dalle ventole esce aria fresca. Pensa di nuovo di spegnere il motore per risparmiare un po’ di gas, ma poi pensa di nuovo, ma vaffanculo! Lei non vuole neanche disturbarsi a prendergli la sigarette! Nemmeno quelle economiche senza marca e solo perché -questo lo sa – le ha fatto quella osservazione sui Little Debbies.
Vede una giovane donna dallo specchietto retrovisore che sta correndo verso la sua macchina. È anche più grassa di Mary, ha qrandi tette flaccide che le fanno su e giù sotto un camice blu. Biz la vede arrivare e comincia ad abbaiare.
Ray abbassa il finestrino di un centimetro o due.
“Lei è con la donna bionda che è appena entrata? È sua moglie?” Ha l‘affanno e Il suo viso è illuminato dal sudore.
“Si. Cercava una palla per la nipote.”
“Beh, ha qualcosa che non va! È caduta a terra e non è più cosciente. Il signor Ghosh pensa che abbia avuto un attacco cardiaco e ha chiamato il 911. Farebbe meglio a venire!”.
Ray spegne la macchina e la segue dentro il negozio. Lì all’interno c’è fresco. Mary è distesa sul pavimento con le gambe divaricate e le braccia lungo i fianchi. È accanto ad una contenitore cilindrico pieno di palloni. Sul cilindro c’è scritto “grande divertimento in estate”. I suoi occhi sono chiusi. Potrebbe essersi addormentata sul pavimento di linoleum. In piedi attorno a lei ci sono tre persone. Uno è un uomo di colore in pantaloni color cachi e camicia bianca. Una targhetta sulla tasca della camicia dice “Sig. Ghosh. Direttore”. Le altre due sono clienti. Uno è un vecchio magro, con pochi capelli, che avrà almeno settant’anni e l’altra è una donna grassa. Più grassa di Mary. Più grassa della donna con la divisa blu, troppo grassa! Ray pensa che sarebbe più giusto che fosse lei quella ad essere sdraiata sul pavimento.
“Signore, lei è il marito di questa donna?” Gli chiede il signor Ghosh.
“Si.” dice Ray e, come se già non bastasse : “Si, lo sono.”
“Mi dispiace dirlo, ma penso che sia morta.” dice il Sign. Ghosh: “Io le ho praticato la respirazione artificiale ed anche quella bocca a bocca, ma…”
Ray pensa a quell’uomo di colore che appoggia le sue labbra su quelle di Mary, in una sorta di bacio, pensa a quello che respira su di lei proprio accanto ad un cilindro pieno di palloni di plastica. Poi si inginocchia.
“Mary.”dice. “Mary!” Come se stesse cercando di svegliarla da un sonno profondo.
Lei non sembra respirare, ma chi può dirlo! Poggia l’orecchio sulla sua bocca e non sente nulla. Sente dell’aria sulla sua pelle, ma, probabilmente, è solo l’aria condizionata.
“Questo Signore ha chiamato il 911” dice la donna grassa. Ha tra le mani una borsa di Bugles.
“Mary!” dice di nuovo Ray. Questa volta più forte, ma non riesce a gridare, non in ginocchio e con della gente che gli sta intorno.
Poi guarda verso su e dice: “Lei non è mai stata male. È sana come un cavallo!”
“Potrebbe non saperlo…” dice il vecchio e scuote la testa.
“È caduta improvvisamente.” dice la donna con il camice blu. “Non una parola.”
“Per caso, si è afferrata il petto?” chiede la donna grassa con le Bugles.
“Non so,” dice la giovane donna: “penso di no. Non ho visto. È crollata a terra!”.
Ci sono una serie di magliette-ricordo accanto ai palloni. Dicono cose come “I miei parenti a Castle Rock sono stati trattati come dei re e tutto quello che mi hanno saputo portare è questa stupida maglietta!”. Il signor Ghosh ne prende una e dice: “Signore, le vuole coprire il viso?”
“Dio, no!” dice spaventato Ray: “Potrebbe soltanto aver perso coscienza! Noi non siamo medici.” Alle spalle del sig. Ghosh vede tre ragazzi, adolescenti, che spiano dalla vetrina. Uno di loro ha un cellulare e lo sta usando per fare una foto.
Il signor Ghosh segue lo sguardo di Ray e si precipita alla porta di ingresso, battendo le mani: “Voi, ragazzi, via da qui! Andate via!”.
I ragazzini, ridendo, si trascinano indietro, si voltano di spalle e, infine, urtano le pompe del gas sul marciapiede. Dietro questi, splende la cittadina quasi completamente deserta. Un’auto viaggia a ritmo di rap. A Ray, il basso suona come un furtivo battito di Mary.
“Dov’è l’ambulanza?” dice il vecchio: “Come è possibile che non sia ancora qui?”
Ray, mentre aspetta, si inginocchia accanto alla moglie. Ha dolore alla schiena e alle ginocchia, ma se si alzasse si sentirebbe solo come uno spettatore.
L’ambulanza sembra essere una Chevy Suburban dipinta a strisce di color bianco e arancione. Le luci rosse lampeggiano brillanti. “SALVATAGGIO DELLA CONTEA DI CASTLE” è scritto al contrario, così da poterlo leggere anche da uno specchietto retrovisore.
I due uomini che entrano sono vestiti di bianco. Sembrano camerieri. Uno di loro trascina un serbatoio di ossigeno come fosse una bambolina. È un serbatoio verde con sopra un adesivo della bandiera americana. “Mi dispiace,” dice: “abbiamo prestato soccorso in un incidente d’auto dall’altro lato di Oxford.”.
L’altro vede Mary distesa sul pavimento. “Oh, è andata.” dice.
Ray non riesce a crederci. “È ancora viva?” domanda. “Ha solo perso coscienza? Se lo è, fareste meglio a darle ossigeno o avrà danni cerebrali”.
Il sig. Ghosh scuote la testa. La giovane donna dal camice blu comincia a piangere. Ray le vuole chiedere il motivo per cui sta piangendo, dunque sa. Quella pensa chissà cosa su di lui dopo quello che ha detto. Tanto che, anche se fosse tornato indietro di una settimana o giù di lì e avesse giocato bene le sue carte, lei avrebbe potuto lanciargli un pietoso vaffanculo. Non che lo volesse, ma sa che avrebbe potuto riceverlo, se lo avesse cercato.
Gli occhi di Mary non reagiscono all’oftalmoscopio. Un soccorritore ausculta il suo inesistente battito cardiaco e l’altro prende l’inesistente pressione sanguigna. Per un po’ si va avanti così. I ragazzini tornano con i loro amici. Arrivano anche altre persone. Ray suppone che comincino ad essere attratti dalle luci rosse del Suburban come degli insetti attratti dalle luci di un portico.
Il sig. Ghosh corre di nuovo verso di loro, agitando le braccia. Vanno nuovamente via. Poi, quando il sig. Ghosh ritorna nel cerchio creatosi attorno a Mary e Ray, quelli ritornano.
Uno dei soccorritori dice a Ray: “Era sua moglie?”
“Giusto.”
“Beh, signore, mi dispiace dirglielo, ma è morta.”
“Maria, Madre di Dio!!!” dice la donna grassa con le Bugles e si fa il segno della croce.
“Oh” Ray si alza. Gli scrocchiano le ginocchia: “Loro me lo hanno detto”.
Il sig. Ghosh dà ad uno dei soccorritori una maglietta-ricordo da porre sul viso di Mary, ma quello scuote la testa ed esce fuori. Dice alla piccola folla che non c’è nulla da vedere, come se nessuno pensasse che una donna morta sul pavimento del Quick-Pick non fosse poi così interessante!
Il soccorritore, dalla parte posteriore dell’ambulanza, tira fuori, e lo fa con un singolo movimento del polso, una barella le cui gambe ne scendono da sole.
Il vecchio con i capelli radi tiene la porta aperta e il soccorritore spinge all’interno quel letto di morte.
“Che caldo!” esclama, asciugandosi la fronte.
“Le consiglio di spostarsi da questa parte, signore.” dice l’altro, ma Ray li guarda come se dovessero sollevarla sulla barella. All’estremità di questa vi è un lenzuolo e quelli gli e lo mettono sul viso. Ora Mary sembra uno di quei cadaveri dei film. La spingono fuori nel caldo. Questa volta a tenere la porta è la donna grassa con le Bugles. La folla si è riunita sul marciapiede.
Non ci dovrebbero essere tre dozzine di persone sotto il sole d’Agosto.
Dopo aver sistemato Mary, i soccorritori tornano. Uno di loro tiene tra le mani una lavagnetta e fa a Ray circa venticinque domande . Ray risponde a tutte, tranne a quella dell’età, poi si ricorda che Mary era più giovane di lui di tre anni e risponde che ne aveva trentacinque.
“La stiamo portando al San Stevie’s,” dice quello con la lavagnetta: “se non sa dove si trova può seguirci.”
“So dov’è .” dice Ray: “Ma per far cosa? L’autopsia? La aprite? ”
La ragazza in camice blu ha un sussulto. Il sig. Ghosh le mette un braccio intorno alle spalle e lei appoggia il viso sulla sua camicia bianca. Ray si chiede se lui se la scopi. Non crede, non perché quello sia di colore, ma perché sembra avere il doppio della sua età.
“Beh, non è una nostra decisione,” dice il soccorritore: “ma probabilmente non si farà. Non è morta senza che nessuno l’abbia vista…”
“Posso testimoniarlo io.” interviene la donna con le Bugles.
“…e, quasi certamente, si è trattato di un attacco di cuore e probabilmente le rilasceranno immediatamente il certificato dall’obitorio”. Obitorio? Un’ora fa erano in macchina a discutere. “Non conosco obitorio,” dice Ray: “Nessun obitorio, terreno di sepoltura, niente! Ma quale inferno? Lei aveva trentacinque anni!”
I due soccoritori si scambiano uno sguardo. “Signor Burkett, ci sarà qualcuno ad aiutarla per tutto al San Stevie’s. Non se ne deve preoccupare!”.
L’ambulanza parte con le luci lampeggianti, ma non accende la sirena. La folla sul marciapiede comincia a rompere. La commessa, il vecchio, la donna grassa e il sig. Ghosh guardano tutti Ray, come se fosse qualcuno di speciale. Una celebrità.
“Voleva un pallone viola per nostra nipote,” dice lui: “per il suo compleanno. Compie otto anni e si chiama Talia, Tallie per tutti. Era il nome di un attrice.”
Il sig. Ghosh prende una palla viola dal cilindro e la porge a Ray: “Offre la casa” dice.
“Grazie, signore.” dice Ray, cercando di mostrarsi altrettanto solenne, e la donna con le Bugles scoppia in lacrime. “Maria, Madre di Dio!” dice. Le piace questa espressione.
Chiaccherano per un po’. Il sig. Ghosh prende soda dal distributore. Anche questo è un omaggio della casa. Bevono le loro sode e Ray racconta un paio di cose su Mary. Gli racconta che fece una trapunta che conquistò il primo premio alla fiera di Castle Country. Sarà stato nel 2002, o, forse, nel 2003.
“Questo è molto triste!” dice la donna con le Bugles. Lei si è aperta con loro e tutti condividono. Poi mangiano e bevono.
“Mia moglie è andata via nel sonno,” dice il vecchio dai capelli radi: “Si è sdraiata sul divano e non si è più alzata. Eravamo sposati da trentasette anni. Ho sempre desiderato di andare via prima io, ma il Buon Dio non l’ha voluto. La rivedo ancora lì, sul divano.”
Alla fine Ray è a corto di cose da raccontargli e loro non sanno più cosa dire a lui.
Cominciano ad entrare dei clienti e il sig. Ghosh ne accoglie alcuni, mentre gli altri li accoglie la donna in camice blu. Poi la donna grassa dice che deve veramente andar via, ma da prima a Ray un bacio sulla guancia.
“Adesso bisogna che lei pensi alle sue cose, sig. Burkett.” Gli dice lei con un tono tanto ammonitore quanto civettuolo.
Lui guarda l’orologio sopra il bancone. È del tipo che pubblicizza una birra. Sono passate due ore da quando Mary è passata dall’essere in auto al diventare un blocchetto di ceneri al Quik-Pik. E, per la prima volta, gli viene in mente Biz.
Quando apre lo sportello, lo investe il calore e, quando mette la mano sul volante si tira indietro con un grido. Dentro ci saranno un centotrenta gradi. Biz è morto sulla schiena. Ha gli occhi vitrei. La lingua gli pende da un lato del muso. Ray può vedere sporgere i suoi denti. Catturati nei suoi baffi ci sono dei pezzetti di cocco.
Non dovrebbe essere comico, ma lo è. Non abbastanza comico da ridere, ma comico.
“Biz, vecchio amico. Mi dispiace di averti dimenticato qui.”
Quando guarda il cotto Jack Russel lo assale una grande tristezza che spazza via ogni divertimento. Che una cosa così triste dovrebbe essere comica è solo una vergogna!
“Beh, tu sei con lei adesso,no?…” dice e questo è così triste che comincia a piangere. È una dura tempesta. Mentre piange comincia a pensare che adesso può fumare ovunque vuole, anche in qualsiasi punto della casa. Può fumare anche al suo tavolo da pranzo.
“Sei con lei adesso, Biz.” dice di nuovo attraverso le lacrime. La sua voce è intasata e densa. Ha iI suono adatto alla situazione. “Povera vecchia Mary, povero vecchio Biz. Dannazione!”.
Ancora piangendo e con il pallone viola sotto al braccio, torna dentro al Quik-Pik. Dice al sig. Ghosh che ha dimenticato di prendere le sigarette. Forse pensa che il sig. Ghosh gli darà un pacchetto di Premium Harmony come omaggio della casa, ma la generosità del sig. Ghosh non va così lontano.
Ray fuma per tutto il tragitto verso l’ospedale con i finestrini chiusi e l’aria condizionata accesa.
IT
Buona fortuna, Big Bill, pensò Ben e preferì non guardare più. Ne soffriva, provava un dolore in un luogo così intimo che nessun vampiro o licantropo sarebbe mai riuscito a raggiungere. Se ha da essere così, così sia. Ma tu non l’amerai mai come l’amo io. Mai.
Recensione “Memory”, di Stephen King

I ricordi sono dispettosi; se smetti di rincorrerli e ti giri dall’altra parte, spesso ritornano per conto proprio. È quello che sostiene Kamen. Io gli dico che non ho mai rincorso il ricordo del mio incidente. Certe cose, dico, è meglio dimenticarle.
Forse, ma nemmeno questo conta. Così dice Kamen.
Mi chiamo Edgar Freemantle. Ero un pezzo grosso nel settore edilizio. […]
In fondo al volume di “Blaze”, ho avuto la piacevole sorpresa di trovare “Memory”, un racconto di Stephen King, apparso per la prima volta sulla rivista “Tin House” (estate 2006, vol 7, n. 4). È il seme da cui è cresciuto il romanzo intitolato “Duma Key”, che verrà pubblicato nel 2008.
Il racconto si ispira in parte all’incidente che, il 14/09/1999, vide coinvolto l’autore americano durante una delle sue quotidiane camminate sulla Route 5 a Center Lovell, nel Maine.
Quell’episodio ha profondamente segnato l’autore, al punto da influenzarne diversi lavori, non ultimo “L’acchiappasogni” (romanzo a cui si dedicò nel periodo di convalescenza).
“Memory”, nella sua brevità, è riuscito a colpirmi positivamente; qui lo stile è King-recente al 100% (a differenza di “Blaze”, vedi post), con divagazioni sulla vita del protagonista che paiono interrompere la scorrevolezza del romanzo, mentre in realtà sono funzionali alla caratterizzazione del personaggio e a definire i “tormentoni” che lo seguiranno per tutta la storia (altro elemento a cui King ama ricorrere); il tutto è, inoltre, condito con la tipica leggera ironia capace di strappare sorrisi senza interrompere il ritmo della narrazione.
Recensione “Blaze”, di Stephen King

George era nascosto dal buio. Blaze non lo vedeva ma la sua voce gli giungeva forte e chiara, burbera e un po’ ruvida. La voce di George sembrava sempre quella di una persona raffreddata. Aveva avuto un incidente da bambino. Non aveva mai spiegato quale, ma aveva un fior di cicatrice sul pomo d’Adamo.
“Non quella, scemo, è tutta piena di adesivi. Prendi una Chevy o una Ford. Colore scuro, verde o blu. Due anni. Non uno di più, non uno di meno. Nessuno se le ricorda. E senza adesivi.” […]
Come promesso (vedi post), dico la mia su “Blaze”, l’ultimo romanzo uscito in Italia di Stephen King ;)
Il romanzo è dedicato… A Tommy e Lori Spruce e pensando a James T. Farrell
Non sto a ripetere il lungo “travaglio” del romanzo (vedi post), arrivo subito al punto evitando ogni spoiler.
Il romanzo, sebbene firmato col nome Richard Bachman, presenta soprattutto peculiarità kinghiane.
I precedenti romanzi firmati con lo pseudonimo avevano caratteristiche quali l’estremo cinismo e il linguaggio diretto e privo di fronzoli, mentre in “Blaze” è possibile riconoscere il King prolisso (un pregio, quando è in forma), che ama narrare il passato dei personaggi, in particolar modo la fase a cavallo tra infanzia e adolescenza.
Tutto questo poteva essere previsto, dato che l’autore stesso ha dichiarato di aver dato una “aggiustatina” al romanzo originale, scritto nel 1973, a ben 30 anni di distanza e di conseguenza con uno uno stile diverso e una maturazione letteraria sulle spalle.
King narra la storia di Clayton Blaisdell Jr, alias Blaze, alternando capitoli ambientati nel presente del protagonista ad altri nel passato (forma molto amata dall’autore); questi ultimi descrivono le esperienze che hanno segnato il protagonista e che lo hanno reso l’uomo che è oggi, con tutti i difetti e pregi, fisici e psicologici.
Il romanzo scorre bene, forse più meritevole di interesse la parte sul passato di Blaze, mentre il presente del protagonista sembra passare in secondo piano per diversi tratti.
La combinazione di Bachman e King può, invece, risultato un difetto per chi conosce bene “entrambi” gli scrittori e avrebbe preferito una versione del libro con un unico stile.
Il King migliore rimane distante, ma nel complesso il mio giudizio sul romanzo è positivo e Blaze finisce con l’essere l’ennesimo personaggio kinghiano al quale sarà facile affezionarsi e ricordare anche a distanza di anni…
“Blaze” e “Duma Key” di Stephen King
“Blaze” di Richard Bachman
“Caro Fedele Lettore, questo è un romanzo da cassetto, d’accordo? Voglio che tu lo sappia quando hai ancora lo scontrino in tasca e prima che ci versi sopra del sugo o del gelato e ti diventi così difficile o impossibile restituirlo” (Stephen King)
Martedì 2 Ottobre è uscito “Blaze“, romanzo postumo di Richard Bachman (la prima stesura risale al 1972), scrittore morto per cancro allo pseudonimo (come annunciò Stephen King: un modo originale per ammettere che Bachman era il nome col quale aveva pubblicato alcuni romanzi giovanili).
L’uscita ha oltre 2 mesi di anticipo rispetto alla data ufficiale di Sperling & Kupfer (editore italiano di King) grazie all’iniziativa di Repubblica\Espresso che lo offrono in anteprima.
Il libro è ovviamente di Stephen King, famoso scrittore statunitense, sessantenne da meno di un mese, il quale ha fin da subito rivelato che si tratta di un’opera “da cassetto” ovvero di un libro che per anni è rimasto in un cassetto della sua scrivania (metaforicamente) perchè non apprezzato dall’autore.
A distanza di anni passò ancora tra le mani di King, per essere nuovamente bocciato… fino al 2006, quando ripensò a questa sua opera e alla possibilità di donare in beneficenza alla Haven Foundation (“che ha per finalità l’aiuto agli artisti freelance che hanno avuto incidenti e non hanno un’assicurazione medica. O per artisti, scrittori, pittori, e così via, che non hanno più un posto dove lavorare dopo un disastro naturale come l’uragano Katrina”) gli eventuali proventi.
Dopo una ricerca difficoltosa (al punto che King nella prefazione confessa di aver temuto di averlo smarrito, cosa già successa con altri due romanzi durante la sua carriera!), si accorse di ricordarlo ben più brutto e decise quindi di sistemarlo fino ad ottenerne la versione che è oggi disponibile ai Fedeli Lettori.
Qualche cenno sulla trama: Blaze è un ragazzo che soffre di un ritardo a causa di un incidente subito da bambino, è cresciuto dentro e fuori da riformatori, programmi di riabilitazione e accerchiato da personaggi più o meno loschi. Un giorno, però, incontra George e tutto cambia. Con lui programmerà il colpo del secolo […]
Non vado oltre perchè, quando possibile, amo affrontare i libri nella totale ignoranza ;)

Riporto di seguito l’intervista di Stephen King a proposito di “Blaze”:
Perché Blaze non è stato pubblicato nel 1973?
“Credevo che fosse troppo sentimentale, che finisse per far ridere”.
Dove lo ha ritrovato e perché ha deciso di pubblicarlo oggi?
“Pensavo che il manoscritto si fosse perso, ma quando ho pensato che si sarebbe potuto revisionarlo e pubblicarlo dando i ricavati in beneficenza, allora ho chiesto alla mia assistente Marsha, di provare a rintracciarne una copia. Era nella biblioteca della University of Maine. Marsha ne ha fatto una fotocopia. Non si fidava a darmi l’originale!”
Che personaggio è Blaze? Cosa pensa del fatto che la gente si identifichi con un criminale?
“Blaze è un uomo con disturbi mentali che diventa un criminale quando la società gli volta le spalle. Se il destino fosse stato più generoso, avrebbe potuto avere una vita produttiva e felice. Considero la sua storia una piccola tragedia del sottoproletariato”.
Stephen King come valuta Richard Bachman come scrittore?
“Bachman era più arrabbiato e pessimista di me”.
Perché usava questo pseudonimo?
“Mi era stato detto che potevo pubblicare solamente un libro l’anno con il mio vero nome, altrimenti saturavo il mercato. A dire la verità molti scrittori, come James Patterson, hanno dimostrato che questo non è vero. Il mio vero pseudonimo era Guy Pillsbury, che era il nome di mio nonno, ma si sparse subito la voce e così mi venne chiesto di cambiarlo all’ultimo momento, con una telefonata. Letteralmente mentre ero al telefono mi dissero di dargli un altro nome”.
E questo nome come le venne in mente?
“Ho detto Richard come Richard Stark perché avevo un suo libro sulla mia scrivania, e Bachman dal gruppo musicale Bachman-Turner Overdrive. La loro canzone Taking Care of Business era alla radio in quel momento”.
Ci ha messo molto le mani? E’ vero che ha fatto le correzioni a matita?
“Sì, è vero le ho fatte proprio a mano: pensavo che revisionando il manoscritto alla vecchia maniera sarei riuscito a ritrovare quei sentimenti e quelle sensazioni che avevo quando l’ho scritto. Per questo l’ho fatto”.
Qual è lo scrittore che l’ha influenzata di più?
“Penso Don Robertson, che ha scritto romanzi ambientati nelle piccole città dell’Ohio. Dopo di lui direi tutti”.
E il libro che preferisce tra quelli che ha scritto?
“La Storia di Lisey, pubblicato l’anno scorso”. (Lisey è la moglie di uno scrittore morto da poco che mentre ne riordina le carte scopre il mondo fantastico del marito. Questo romanzo segna il ritorno al successo di King dopo le difficoltà seguite al tremendo incidente del giugno 1999, quando venne investito durante la sua passeggiata quotidiana, che lo avevano spinto ad annunciare l’abbandono della scrittura).
Come è il suo metodo di lavoro? Quante ore al giorno scrive?
“Scrivo circa tre ore al giorno, quasi sempre la mattina. Il mio metodo non cambia mai: comincio quando la storia comincia nella mia testa e continuo finché tutti i personaggi o muoiono o vivono”.
Quello degli adolescenti è un tema ricorrente nei suoi libri, da It in poi, che cosa sono per lei? L’alternativa al male, all’orrore?
Stephen King ci scrive che non può rispondere a questa domanda: “Per farlo dovrei scrivere un saggio e sarebbe lungo”.
In Italia Blaze uscirà prima nelle edicole insieme a questo giornale e poi nelle librerie. E’ la prima volta che accade, cosa ne pensa?
“Penso che sia fantastico, è un ritorno all’era di Dickens. Vi auguro un grande successo”.
Il ricavato dalla vendita del libro sarà devoluto alla Haven Foundation. Di cosa si occupa questa fondazione?
“La Haven Foundation è stata creata per aiutare artisti freelance che hanno avuto incidenti e non hanno un’assicurazione medica. O per artisti, scrittori, pittori, e così via, che non hanno più un posto dove lavorare dopo un disastro naturale come l’uragano Katrina. Al contrario delle persone con lavori fissi, tante persone creative che lavorano come freelance non hanno una “rete di sicurezza” che li protegge quando le cose vanno male. Non possiamo aiutarli tutti, ma speriamo di poter aiutare i più sfortunati e i più meritevoli. Mi permetterei di invitare i vostri lettori a contribuire, se ne hanno voglia. Le informazioni si possono trovare sul mio sito, www. stephenking. com”.
E sul suo sito sono piovuti in questi giorni migliaia di messaggi di auguri per il compleanno, a cui ha risposto annunciando che da questo momento comincierà a contare gli anni alla rovescia: “Il prossimo anno ne festeggerò 59, e per il 2017 ne avrò 50 di nuovo”.
(2 ottobre 2007)
Appena avrò terminato la lettura, provvederò a recensirlo :)
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“Duma Key” di Stephen King
Il prossimo romanzo kinghiano uscirà negli USA il 22 Gennaio 2008 e da qualche mese è disponibile la copertina:

La versione più grande è reperibile qui.
Il romanzo è ambientato in Florida e narra la storia di un uomo che, dopo un brutto incidente, soffre di momenti di ansia e di scatti d’ira eccessivi che lo portano a divorziare con la moglie. Il desiderio di un cambio di vita, una svolta qualsiasi, lo riporta alla sua grande passione, la pittura. Ma strane cose avvengono ai quadri che dipinge […]
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Qualche link kinghiano
www.stephenking.com
www.stephenking.it
www.stephenkingofficial.it
www.ilredelbrivido.wordpress.com
en.wikipedia.org/wiki/Stephen_King
it.wikipedia.org/wiki/Stephen_King
news.castlerock.it/news_stephenking.php
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Varie ed eventuali
Oltre a “Blaze”, in questi giorni ho intenzione di procurarmi altri tre romanzi:
- “La fine dell’eternità” (1955) di Isaac Asimov, libro che coniuga la genialità dell’autore statunitense (di origine russa) ai viaggi nel tempo e alle conseguenze che comportano;
- “La strada” (2006) di Cormac McCarthy, che si ambienta negli anni successivi ad un olocauso atomico (ambientazione a me cara) e narra la storia di un padre e un figlio che attraversano l’America;
- “Cronache del dopobomba” (1963) di Philip K. Dick, libro che tratta sempre di un ipotetico futuro post-atomico, questa volta però il tema è affrontato da Dick, altro autore geniale;
