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John Fante, La confraternita dell’uva (2° parte)

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Edward Hopper - Sunday

Edward Hopper, Sunday

– Papà, penso che non dovresti accettare quel lavoro.
– E chi lo dice?
– Sei troppo vecchio, maledizione. Ti verrà un colpo, un collasso cardiaco. Ti stenderà.
– Mia madre aveva novantaquattro anni. Mio padre ottantuno. Ho soltanto bisogno di un aiutante coi fiocchi, qualcuno che sappia come si fa a impastare la malta e a trasportare le pietre.
– Hai in mente qualcuno?
Fece un sorso di chiaretto. – Seh.
– E’ uno a posto?
– Cazzo no, ma mi tocca di prendere quello che passa il convento.
Capii chi aveva in mente.
– Papà, – sorrisi, – sei fuori di testa.
– Quant’è che ti puoi fermare?
– Un giorno o due.
– Possiamo farcela in tre settimane.
– Impossibile.
– E’ un lavoretto facile. Una casetta di pietra su a monte Casino. Dieci per dieci. Niente finestre. Una porta. Io tiro su i muri, tu fai la malta e porti le pietre. E’ un bel posto. Bella campagna. Foreste. Grandi alberi. Aria di montagna. Ti farà bene. Butti giù un po’ di ciccia.
[…]

Gemetti. – E Garcia, il tuo vecchio manovale?
– Morto.
– E Red Griffin?
– Morto.
– Quel negro, Campbell?
– Morente.
– Deve esserci qualcuno in vita da queste parti oltre a me! Ci deve essere!
– Andati, tutti andati.
– E Zarlingo, o Benedetti, o qualcun altro di quegli sfaccendati con cui giochi a carte?
– Sono piuttosto vecchi. Benedetti ha ottant’anni.
Un sospiro, un sospiro che sembrava venire da secoli lontani, fuoruscì da quelle sue labbra vinose. Parve franare, quasi che le ossa del suo scheletro cedessero sotto il peso della disperazione, e il mento gli si appoggiò sul petto.
– Nessuno vuole lavorare per Nick Molise, – disse. – E’ due settimane che sto cercando, ma non riesco a trovarne uno.
Nemmeno mio figlio -. Ricacciò indietro un singhiozzo.
– Dio buono, papà, non metterti a piangere per me.
– Dieci, venti generazioni di muratori, e io sono l’ultimo, il capolinea, e a nessuno gliene frega niente, nemmeno alla carne della mia carne.
Era venuto il momento della ragionevolezza, della pazienza e delle paroline tenere: questione di ritegno, di bontà, di carità e generosità filiale. Dissi che mi dispiaceva, papà. Dissi che c’erano certe cose che non gli avrei mai chiesto di fare, e così c’erano altre cose che lui non doveva chiedermi di fare. Dissi che non avevo niente contro il trasportare secchi o contro la posa in opera di una pietra. Dissi che quella di muratore era una professione onorevole, la testimonianza migliore della nobiltà e delle aspirazioni del genere umano. Con animo grato, citai l’Acropoli, le piramidi, gli acquedotti romani e le rovine azteche. Poi cominciai ad arrabbiarmi davanti a questo vecchio irascibile e cocciuto, e venne fuori la mia impazienza, la furia dei Molise mi percorse con un fremito di truculenza, di malanimo, di frenesia.
– In tutta franchezza, vecchio mio, – dissi, – io lo odio il mestiere di costruire. Lo odio da quando ero piccolo e tu tornavi a casa con la malta schizzata sulle scarpe e sul viso. Penso che gli imbianchini e i muratori siano degli ubriaconi, e che gli idraulici siano dei ladri. Penso che i falegnami siano dei truffatori e che gli elettricisti siano rapinatori da strada. Non mi piacciono i lastricati, il marmo, il granito, i mattoni, le piastrelle, la sabbia, il cemento. Se non vedrò mai più un caminetto di pietra o un muro di pietra o dei gradini di pietra o anche solo delle pietre in un campo, bè, non me ne importa un fico. E se proprio vuoi sapere la pura verità, non me ne frega un cazzo nemmeno dei muratori -. Ripresi fiato. – Inoltre, un’altra cosa che non mi piace sono le montagne e le foreste e i gufi e l’aria di montagna e i coyote e gli orsi. Non ho mai visto un affumicatoio in vita mia e, se Dio vuole, non ne vedrò mai uno né tantomeno lo costruirò.
Più gridavo, più battevo i pugni sul tavolo, e più lui beveva; e più beveva, più le lacrime gli sgorgavano dagli occhi.
Cacciò di tasca un fazzoletto a pallini, si soffiò il naso e ingollò un altro poco di vino. Faceva pietà: distrutto, imbarazzante, rivoltante, spudorato, stupido, rozzo, disgustoso e sbronzo, il peggior padre che un uomo potesse avere, così abominevole che sputai la birra nella sputacchiera e mi alzai per andarmene.

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1° parte, 2° parte, 3° parte, 4° parte

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Written by filippo

17 dicembre 2013 a 4:48 PM

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